So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953
Walter Casiraghi prepara il suo piatto Tesori della Terra al concorso TVC 2019. Foto di Andrea Battaglini
Irene Soave sul Corriere della Sera del 3 novembre racconta la “rivoluzione vegana in Russia” attribuendole un valore politico e titola così: “Vegani, antisistema, anti-Putin In Russia la rivoluzione è veg. Nel ventennio del presidente cacciatore e pescatore e della «destra di popolo», rifiutare la carne è un gesto sempre più militante. Le cellule del movimento: ristoranti e caffè”. Come sappiamo il veganismo va oltre la scelta di non mangiare prodotti animali e propone un approccio differente al rapporto uomo-animali sotto tutti i punti vista, anche non alimentari. Tuttavia la modifica del menu quotidiano è il primo atto di questo cambiamento ed è anche il primo ad essere identificato da consumatori, ristoratori e produttori. Nutrirsi con alimenti “plant based” è anche un’evoluzione del menu di chi non ha del tutto rinunciato ai prodotti animali (vegetariani e flexitarian). E sembra che anche in Russia, dove il mondo gastronomico è in rapido cambiamento i vegetali nel piatto stiano acquisendo più spazio. Ce lo racconta Walter Casiraghi, che vive e lavora da sei anni a Mosca e che ha partecipato già a due edizioni del concorso The Vegetarian Chance.
È vero che qui in Russia il vegetarianismo e ancor di più il veganismo non sono “visti” molto bene, o meglio come non troppo normali, anche perché come dice l’articolo di Irene Soave in Urss ci furono un annullamento della varietà e della nazionalità dei piatti, e un appiattimento, o meglio una standardizzazione della cultura gastronomica, favorita anche da altri fattori, ambientali, economici e dalla cancellazione delle identità nazionali.
Oggi, però, e mi riferisco a Mosca, si trovano proposte vegetariane e vegane in quasi tutti i ristoranti, soprattutto in centro città, frequentato da turisti e residenti stranieri e dove il movimento Hipster è più libero e radicato. Esistono anche locali di sole proposte vegetariane come Flora,no fauna.
Una cliente del ristorante veg Flora, no fauna a Mosca. Dalla pagina Instagram del locale
Molti russi si dichiarano vegetariani e veganipiù per moda e anticonformismo, che per una vera consapevolezza personale. Non c’è stata, però, una contro reazione fatta di atti di ostruzionismo, vandalismo o addirittura “terrorismo”.
A mio parere l’approccio dell’articolo del Corriere della Sera è forzato quando tende a dare del veganismo un connotazione politica e antiPutin (quasi a metterlo a livello di uomini primitivi cacciatori e pescatori) che sì ha tantissimi difetti, ma di sicuro non nega a nessuno la possibilità di scegliere se essere vegetariano o vegano .
Per quanto ho potuto constatare di persona San Pietroburgo è culturalmente, geograficamente e anche gastronomicamente molto più “europea” e aperta di Mosca. Leggere quindi che i ristoranti vegetariani siano presi di mira mi pare poco credibile. Sicuramente vandalismi e atti omofobi da parte di attivisti di estrema destra, ci sono stati, ma di eventi così ne sono purtroppo stati registrati anche in Italia e in altri paesi del mondo. È vero anche che molte volte le forze dell’ordine russe chiudono un occhio per motivazioni politiche o anche per evitare lavoro extra. In ogni caso la libertà di esprimere la propria omosessualità esiste anche se all’estero si ha l’impressione del contrario.
Non siamo in Finlandia, dove ho vissuto due anni, ma la società russa si sta via via evolvendo verso una maggiore apertura verso il vegetarianismo sia per ragioni etiche e personali, o anche per ragioni più frivole, senza che esista un reale ostruzionismo reale. Anche in Italia esistono gli antivegetariani/antivegani, basti pensare a quanto si scrive sui social media o ad alcune prese di posizione di chef e giornalisti. Qui a Mosca sono in crescita i negozi veg (anche con servizio di consegna a domicilio) e questo lascia intuire l’esistenza di una maggiore domanda con un’offerta che si adegua ed evolve. Offrono una proposta vegetariana/vegana proponendola come “healthy food” (in russo “здоровой еды”, sdarovoi eda, letteramente “cibo salutare). In molti ristoranti e negozi si può trovare il Veg Journal, una rivista a tema. Non mancano i siti internet sul vegetarianismo e molti blogger/influencer/social trainer che si dichiarano vegani e tengono lezioni e conferenze sulla vita vegana. Per questi ultimi il pericolo è che spesso parlano o scrivono senza cognizione di causa e diffondono informazioni fuorvianti. Al tema veg è stata anche dedicata una mostra: Veg Life.
C‘è ancora molta strada da fare per cambiare la mentalità, e rimediare all’ “ignoranza” gastronomica Russa e dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Ciò che in questo momento mi sta più a cuore e mi fa riflettere è la poca consapevolezza e mancanza di voglia di cambiare in tema di spreco, sostenibilità riciclo delle materie prime e del rispetto dell’ambiente partendo dalle piccole azioni quotidiane.
Jagannath, self service vegano a Mosca molto frequentato
Quest’anno il concorso apparentemente parla asiatico con due concorrenti giapponesi, Ueda Satoru e Hayao Watanabe, una taiwanese, Shu Yuan Chen Tsai e una coreana, Baek Sun Ying. In realtà gli chef della sesta edizione di The Vegetarian Chance sono la testimonianza di una sempre maggiore commistione delle cucine e delle culture nel mondo senza che nessuno dimentichi la propria identità. Infatti Ueda Satoru e Hayao Watanabe lavorano in Italia, Shu Yuan Chen Tsai vive da anni a Madrid, Baek Sun Ying risiede in Giappone. In più l’italiano Walter Casiraghi lavora a Mosca. Più tradizionali gli altri tre concorrenti: Sylvester Schatteman, belga, Gabriele Vergura e Gabriele Grilli, italiani. Come d’abitudine non tutti questi cuochi sono strettamente vegetariani o vegani, ma ad accomunarli tutti c’è una passione per i prodotti vegetali e un senso di responsabilità verso la società che loro interpretano e modellano attraverso le loro creazioni culinarie. Nel leggere le loro storie si avverte la loro consapevolezza di aver scelto un mestiere, che si può nobilitare con le proprie scelte personali in favore del benessere dei loro clienti. Il concorso The Vegetarian Chance, ispirato alla cucina di Pietro Leemann e la Joia, che nel 2019 compie trent’anni, a sei anni dalla sua nascita sta facendo scuola. Nel giugno 2020 a Tokyo si svolgerà un’edizione giapponese della competizione. Da Los Angeles arriva a Torino la cuoca vegana Nina Curtis, che parlerà sabato 12 nel pomeriggio alla platea del Festival. Come sempre la direzione del concorso è stata affidata a Sauro Ricci, executive chef del ristorante Joia e direttore didattico della Joia Academy. Come lo scorso anno i prodotti di ortofrutta per il concorso arriveranno dalla filiera del nostro partner NaturaSì. A coadiuvare Ricci ci saranno gli chef del ristorante EDIT e gli allievi dell’Istituto Alberghiero Prever di Pinerolo. La giuria sarà presieduta come sempre dallo chef Pietro Leemann e ne faranno parte tra gli altri il giornalista de La StampaLuca Ferrua e il professor Marco Lanzetta. Per coinvolgere maggiormente il pubblico nel concorso sono state introdotte due novità. La prima è la possibilità di seguire il concorso in diretta osservando i concorrenti nella cucina a vista del ristorante di EDIT, la seconda è quella di poter avere un assaggio della cucina dei concorrenti acquistando il piatto 8×8, che conterrà otto finger food preparati direttamente dai cuochi concorrenti per il pubblico. Un’occasione unica di assaggiare in uno stesso piatto otto cucine diverse, ma tutte a base vegetale.
Per il secondo anno consecutivo Walter Casiraghi si qualifica per la finale del concorso The Vegetarian Chance. Dalla sua ha una speciale capacità di sintesi tra estro italiano e solida cucina russa.
Cucina e mondo enogastronomico lo stregano fin da bambino. Già a 14 anni lavora mentre studia in una scuola alberghiera. E non tarda a fare esperienze di alto livello come nei lussuosi alberghi di Porto Cervo (Cervo hotel, Cala di Volpe) o al Badrutt’s Palace di St. Moritz dove impara la cucina internazionale. Seguono poi così tanti ristoranti stellati da fargli dire di aver “collezionato” 13 stelle Michelin nel suo percorso formativo segnato da rigore, valorizzazione della materia prima, fantasia e creatività. Mosso da questi principi si propone di “pensare fuori dagli schemi per raggiungere nuovi obiettivi”. Viaggia in Europa, Singapore, Filippine e Cina. Collabora alla scrittura di libri di cucina con chef stellati, partecipa a format televisivi italiani, e nelle emittenti russe a trasmissioni sulla cucina italiana. Walter Casiraghi definisce la sua cucina poliedrica, sana, moderna, e attenta al cliente.
Io e il vegetarianismo
Dallo scorso anno ho iniziato a introdurre più proposte vegetariane e vegetali nel menu con un attenzione maggiore alla sostenibilità dei prodotti e impegnandomi a limitare gli scarti per aumentare il mio benessere non solo fisico ma anche mentale. Sono nato e cresciuto nella Brianza degli anni ottanta, dove urbanizzazione e industrializzazione erano in una fase di sviluppo, che lasciava ancora intravedere campi coltivati in pianura e in montagna in Valsassina. Ho goduto così di un rapporto diretto con la natura, che mi ha spinto a trarre il meglio da essa e a rispettarla il più possibile senza ipocrisia. Per influenze ambientali e culturali, nonché lavorative, purtroppo non sono strettamente vegetariano. Cerco di limitare al massimo gli alimenti animali, anche se, per lavoro, qui in Russia, sono costretto ad usarli. Qui, dove i vegetali a volte sono messi in terzo piano, se non dimenticati, mi rendo conto di quanto mi mancano e di come vorrei poter lavorare solo con alimenti vegetali. Sono più divertenti da usare, più malleabili per la fantasia e l’estro del cuoco, più salubri. Il risultato è una maggiore soddisfazione sia dell’esecutore che del commensale. Il vegetarianismo è parte della mia crescita, sia passata che futura.
Da 4 anni Gabriele Grilli, 23 anni, è chef de partie presso il ristorante Giudice, storico locale della collina torinese e oggetto di diversi riconoscimenti. Qui ha fatto la sua esperienza professionale e umana con una brigata, che definisce “coesa ed entusiasta”. Coltiva la passione per la cucina sin dalla tenera età di quattro anni quando salì su uno sgabello per scoprire cosa la mamma stessa cucinando. “Fu amore a prima vista: rimasi ipnotizzato dal fuoco (con cui, ovviamente, mi bruciai). Ma quella fu la folgorazione, ciò che mi spinse a scegliere cosa fare da grande”, racconta. Ha iniziato la sua carriera professionale come commis della mamma. Poi si è diplomato nel 2014 presso l’IPSSAR Giuseppina Colombatto (TO). Prima di approdare al ristorante Giudice ha avuto brevi esperienze stagionali e molto diverse come quelle presso il Grand Hotel Miramare, Santa Margherita Ligure e il ParkHotel Laurin a Bolzano. Non è la prima volta che partecipa a una competizione culinaria. Nel novembre del 2013 arrivò terzo al concorso Caseus di ALMA, mentre nel 2014 al Salone del Gusto arrivò primo a Il Concorso del Paniere della Provincia di Torino”.
Io e il vegetarianismo
Sono un cuoco onnivoro e può sembrare strano che io partecipi a questo concorso. Il mio rapporto con vegetarianismo e veganismo, stili alimentari così diversi dal mio, nasce nel 2015. Dopo ripetute e insistenti richieste da parte di un’amica provai per la prima volta un ristorante vegano. Ne rimasi piacevolmente colpito. Incredibile come, con la giusta lavorazione, anche una semplice carota possa diventare strabiliante! Da questa esperienza nacque il desiderio di avventurarmi nella cucina vegetariana e vegana. Ci fu da una parte, la voglia di provare a soddisfare la clientela, dall’altra, la voglia di iniziare a fare qualcosa di “diverso” rendendo i vegetali l’elemento nobile (e protagonista) dei miei piatti, invertendo così l’idea comune di verdura uguale contorno. Per questa cucina è fondamentale la scelta della materia prima seguendo la stagionalità e sfruttando il più possibile il Km 0 (utilizziamo spesso il nostro orto), e la lavorazione della stessa. Mi propongo sempre di valorizzare tutti gli elementi, per garantire una piacevole esperienza culinaria.
Shu-Yuan Chen Tsai, nata a Taiwan nel 1964, ha una formazione da artista. Si è infatti laureata in Belle Arti alla Taiwan Art University nel 1987. Seguendo sempre lo stesso percorso si trasferisce a Madrid dove conclude nel 1992 un Master in Belle Arti all’Università Complutense. Rimane a Madrid, dove dopo essersi occupata di integratori dietetici, computer design e costumi per il mondo dello spettacolo (teatro, opera, tv) e della pubblicità approda infine alla gastronomia. Nel 2006 acquista a Madrid il primo e storico ristorante vegetariano della città, La Biotika, fondato nel 1979. Da allora ne cura personalmente la gestione con l’annesso negozio di prodotti biologici. All’attività di ristorazione affianca dal 2009 quella di insegnante di cucina macrobiotica e vegetariana, I Ching e Feng Shui.
Io e il vegetarianismo
Nel mio paese è molto normale essere vegetariani per l’influenza del buddismo. Ci sono ristoranti vegetariani in tutta Taiwan. La mia famiglia è piuttosto religiosa e per questo motivo a volte mangia per lunghi periodi solo cibo vegetariano. Io personalmente sono diventata vegetariana stretta nel 1989. Frequentavo un corso di yoga ed era molto utile diventare vegetariano per migliorare le pratiche di yoga e meditazione. Seguo queste pratiche tutt’ora e nel frattempo anche mio marito è diventato vegetariano e questo facilita di molto le cose in famiglia. La nostra esperienza è così bella, ci sentiamo così leggeri, così felici che abbiamo deciso di adottare il cibo vegetariano per il resto della nostra vita. Naturalmente, nostro figlio e nostra figlia sono nati già vegetariani e ancora oggi sono fedeli a questa scelta.
Giunto da Kumamoto (Giappone) dieci anni fa Ueda Satoru, 32 anni, è da allora sous chef al Ristorante Gardenia, 1 stella Michelin. Qui affianca nel lavoro quotidiano la chef Mariangela Susigan dalla quale ha appreso i grandi piatti di tradizione piemontese, la cucina dell’orto, la cucina delle erbe spontanee. Ama sperimentare cotture primitive: nella creta di Castellamonte, sotto le braci di tralci di vite e pigne di bosco, radici e tuberi dimenticati (rutabaga, pastinaca, carote gialle e viola, scorzonera, barbabietole, patate Walser d’alta quota) per ottenere consistenze e sapori ancestrali. Al fianco di Mariangela Susigan ha acquisito la cultura delle erbe spontanee, il loro riconoscimento botanico, la loro raccolta consapevole ed etica nei boschi e prati incontaminati dell’Anfiteatro morenico, la loro lavorazione appropriata. Satoru conosce, usa e crea nuovi abbinamenti, studia nuove tecniche per estrarre i sapori originali di una grande varietà d’erbe spontanee quali l’aglio ursino, bistorta, cardo zampa d’orso, knautia arvensis, crescione di sorgente, farinello, tarassaco, silene bubbolina. Interpreta in modo attuale ricette antiche come la zuppa d’ajucche e bistorta toma d’alpeggio, il suet gris di mais, raponzolo, spinacio selvatico.
Io e il vegetarianismo
Avvicinandomi consapevolmente al mondo vegetale mi sono reso conto di quanto nella storia le popolazioni fossero naturalmente vegetariane e vegane! Avevano la necessità di fare “anche senza” e dunque sperimentare istintivamente le proprietà alimentari e curative delle erbe spontanee, di legumi, cereali e ortaggi. Si è sviluppata così una conoscenza della natura edibile di prossimità tramandata per via orale. Con la mia ricerca ho scoperto quanto sia vario il mondo vegetale e la miriade di sapori che stimolano le papille gustative. E tutto ciò è importante per la creatività di uno chef. Oggi abbiamo la necessità di recuperare la conoscenza e i valori di questo patrimonio smarrito per ritrovare la salute del corpo e della mente lontano dalla follia ingorda di cibi spazzatura che solo riempiono e non nutrono. È il pianeta che ci domanda di tornare a stretto contatto con il mondo vegetale. È tempo che il nostro corpo e la nostra mente rispondano.
5) Beak Sungjin
5) Beak Sungjin (Corea- Giappone)
Gutsu Gutsu Cook gutsugutsucook@gmail.com
Ritratto
Beak Sungjin è una coreana residente attualmente in Giappone, ma molto legata alle sue radici gastronomiche. Viene a Torino per rappresentare la tradizione del suo paese. Cuoca free-lance, ha alle spalle 19 anni di carriera culinaria. Ha partecipato alla seconda stagione di Master Chef Corea arrivando settima. Ha pubblicato una serie di libri di ricette di cucina coreana o giapponese, proponendo piatti con verdure o riso adatti ai bambini e agli ammalati (nella foto il suo libro Il potere delle verdure).
L’alimentazione per l’infanzia e l’educazione culinaria delle mamme è il tema che le sta più a cuore convinta che i prodotti animali siano dannosi per i bambini, creino allergie. Beak crede che i vegetali siano il cibo delle origini, quello basilare. Lo ha imparato da bambina in Corea nel suo villaggio natale dove da piccola mangiava molte verdure. Diffonde le sue ricette attraverso applicazioni e corsi di cucina. È direttrice nazionale della società coreana di cucina agricola ed è responsabile del servizio turistico della prefettura giapponese di Ibaraki dove abita.
Io e il vegetarianismo
Gli esseri umani vengono dalla natura e ritornano alla natura. Siamo davvero piccoli in un mondo enorme.Dobbiamo conoscere le nostre debolezze e vivere con atteggiamento di umiltà. È importante vivere come parte della natura ed esserle grata, senza ferire nessuno. Il cibo vegetale è importante non solo per il bene del corpo, ma anche per l’identità spirituale degli esseri umani. Torniamo all’origine dell’uomo e ripensiamo al cibo come a un nostro desiderio fondamentale. Sono venuta a questo concorso con passione per far sì che le verdure, benedizioni della natura, siano dolci al corpo e alla natura. Un piatto di verdure deve poter far sorridere tutti!
Un carriera da un ristorante stellato all’altro per Sylvester Schatteman, che rimarca: “In tutti questi ristoranti tengono da sempre in grande considerazione le verdure”. Tra questi si annoverano Sire Pynnock * di Leuven, Hertog Jan *** di Bruges, Oud-Sluis *** a Sluis Olanda , Marc Veyrat *** in Alta Savoia, Martin Berasategui *** a Lasarte-Oria nei paesi baschi. Da 10 anni è sous chef nel ristorante Hofke van Bazel * e nel suo tempo libero si occupa come responsabile dell’orto esteso su 6.000 mq.
Io e il vegetarianismo
Fin dalla più tenera età ho percepito l’importanza di frutta e verdura e nella mia carriera professionale questo interesse ha travalicato la sola e semplice cucina. Recentemente ho anche conseguito il diploma di erborista, un unicum dato che, per quanto ne so, in Belgio sono in pochi a combinare il diploma di cuoco con quello di erborista. Vegetarianismo e veganismo per me non sono solo cucina, ma anche educazione, capacità di sensibilizzare gli ospiti, cambiamento dei modelli alimentari. Ovviamente io da solo non posso cambiare il mondo, ma posso dare il buon esempio. Una cucina verde e sana è diventata qualcosa di più di una passione, un modo di vivere. L’intera filosofia del ristorante dove lavoro ha le radici nell’orto.
Originario di San Giovanni Rotondo sul Gargano in Puglia, Gabriele Vergura inizia la sua esperienza già a 14 anni nel ristorante Da Costanzo dello Chef Costanzo Bocci, celebre chef della sua zona. Lì Vergura intuisce che la cucina sarà la sua passione con l’idea di arrivare in alto. Diplomato all’IPSAR Enrico Mattei di Vieste all’inizio si cimenta con i dolci, come pasticcere, fino a quando nel 2009, a 22 anni, arriva sulle rive del lago di Como, dove abbandona i dolci. Da qui il suo percorso comprende i migliori hotel della zona, ma anche quelli della vicina Svizzera come il famoso Badrutt’s Palace Hotel di St. Moritz.Fin da allora è rimasto molto legato al territorio tanto che ancora oggi lavora al Grand Hotel Villa d’Este a Cernobbio con l’executive chef Michele Zambanini. Tra i grandi chef dai quali ha imparato Gabriele ama citare: Dario Ranza, Christoph Bob e Teo Chiaravallotti.
Io e il vegetarianismo
Ho sempre scelto di presentare una cucina completa, che racchiudesse alimenti di diverse categorie ma che ben sapessero esaltarne i sapori. A un certo punto, però, ho deciso di allargare i miei orizzonti in modo tale da poter offrire la più ampia scelta ai commensali di ogni genere. La scintilla, che ha acceso in me la prospettiva di tale cambiamento, è scattata durante una collaborazione con lo chef Pietro Leemann legata alla preparazione di un banchetto per un evento indiano con menù vegetariano. Lavorare al suo fianco è stato come osservare un panorama da una prospettiva nuova e mi ha fatto riaffiorare i ricordi della mia terra, madre di verdure uniche. È così che ho imparato a dare forma a piatti prelibati dai sapori semplici e naturali.
Un ristorante italiano a Tokyo, Al Checciano, è il punto di partenza della carriera du Hayao Watanabe nel 2011. Qui lavora fianco dello chef Masayuki Okuda che gli insegna a utilizzare le verdure tradizionali dei contadini giapponesi per elaborare piatti giapponesi/italiani. Nell’aprile del 2015, l’anno dell’Expo, viene in Italia e si ferma al Joia di Pietro Leemann. Impara l’italiano e soprattutto un nuovo modo di cucinare a base di vegetali: delizioso ed estetico. “Capii che la cucina vegana è molto importante per far mangiare chi vive seguendo regole alimentari religiose, culturali o dettate da problemi di salute”, spiega Hayao. Da allora si è poi dedicato alla cucina tradizionale italiana per applicare ai suoi piatti il veganismo. Da febbraio 2018, lavorato a Modena alla Franceschetta 58 dello chef Massimo Bottura. Qui è stato coinvolto anche nelle iniziative di Bottura in favore dei bisognosi e contro lo spreco. Si propone di diffondere la cucina vegana in Giappone e di fare da ponte tra il suo e il nostro paese.
Io e il vegetarianismo
La cucina vegetariana e vegana consente di sedersi allo stesso tavolo con chiunque. È confortante poter vedere persone sorridenti mangiare insieme lo stesso cibo. E questo può succedere usando i vegetali. Quando ho compreso questo concetto è aumentato in me il desiderio di cucinare piatti vegani. Dal 2017 ho anche avuto molte opportunità di cucinare per le persone che soffrono negli ospedali e hanno bisogno di nutrirsi con i vegetali a causa delle loro patologie. Da cuoco ero consapevole del fatto che se fossi riuscito a cucinare piatti vegani deliziosi, nutrienti e digeribili avrei stimolato l’energia naturale umana e contribuito alla guarigione. Credo fermamente nella possibilità di far interagire le cure mediche con la cucina vegana per migliorare la salute. Me lo sono posto come obiettivo professionale.
Ripercorriamo insieme il concorso TVC 2018 guardando i piatti fotografati da Vittorio Giannella e commentati da Pietro Leemann durante la premiazione.
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WILLY BERTON
I ripieni
Si tratta di un piatto molto intelligente perché nel ripieno si riscontrano le tre verdure principali. Il gusto è molto piacevole e delicato grazie alla freschezza degli ingredienti che derivano dal territorio originario di Willy, al sud della Francia, dove i pomodori, le zucchine, le cipolle, ma anche le melanzane, un po’ come nella cucina mediterranea, sono molto importanti. Interessante la scelta di presentare le tre cotture differenti: il pomodoro crudo, la zucchina cotta al vapore e invece la cipolla cotta all’agro. Mi è piaciuta tanto la sensibilità di questo piatto.
Rigatoni di primavera
Il secondo piatto è altrettanto interessante, bellissimo, anche nella scelta del contenitore. Lo chef ha scelto una pasta interessante, senza glutine, molto buona e farcita in modo intelligente, dal gusto pulito in contrasto con i carciofi arrostiti che la accompagnano. È un piatto che sia nella forma che nella sostanza mi è piaciuto tantissimo.
MATTEO CARELLI
Mangia la foglia
I piatti di Matteo Carelli sono stati i più freschi. È riuscito a creare un’insalata molto bella, dove c’è un gioco di semplicità e di gusto. Il gusto è davvero strepitoso! Le foglie freschissime sono accompagnate da un estratto freddo di lime, mela verde e cetriolo. Le sue tonalità sono quasi orientali, simile a un dashi giapponese ma senza grassi e con tantissimo gusto.
Lo gnocco
Il secondo piatto di Matteo è molto svizzero per il fatto che tutti gli ingredienti al suo interno provengono da lì. In particolar modo mi sta a cuore la farina con la quale sono stati fatti gli gnocchi di patate, la Farina Bona, una farina di mais che viene da una piccola valle sopra Locarno. È un mais che già cento anni fa veniva macinato e con il quale si facevano tantissimi dolci. La Farina Bona è molto gourmet e ormai sta arrivando in tutto il mondo, sono contento che sia stata utilizzata all’interno del concorso The Vegetarian Chance. In questo piatto lo chef ha interpretato moltissimo il suo luogo di provenienza.
WALTER CASIRAGHI
Borsch della quaresima
Ciò che ha fatto Walter è molto affascinante e persino provocatorio verso la cultura della Russia, dove lui vive e dove la carne viene utilizzata all’estremo. Il brodo presente nel primo piatto è stato realizzato con delle bucce di patata arrostite che solitamente vengono utilizzate per produrre dei superalcolici. Lo chef ha rappresentato un borsch scomposto con degli elementi tiepidi-caldi, presentando una salsa a parte e delle cialde croccanti con delle foglie di prezzemolo stampate al loro interno.
Beetsteak
Dato che in Russia si mangia tantissima carne, lo chef Casiraghi ha creato uno steak utilizzando la barbabietola. Il risultato è stato ottimo, cotta bene, calda, fragrante, con delle carote cotte a bassa temperatura, davvero molto piacevole! Bellissima anche l’estetica di questo piatto: pennellate essenziali e colori forti. È stato apprezzato da tutta la giuria.
ANTONIO CUOMO (Il vincitore)
A me che non piace il sushi
I piatti di Antonio Cuomo sono di un’estetica che lasciano a bocca aperta e sono perfetti anche nel gusto. Personalmente trovo che lo chef Cuomo sappia giocare molto bene con i gusti e con i contrasti: il rischio in cucina è che tutto finisca piatto, tra il dolce e il salato ma senza una vera vitalità. Antonio è invece stato capace di equilibrare tutto perfettamente, facendo emergere le note acidule delicate del suo piatto. Ho trovato i cilindri fatti con l’agar agar molto buoni da mangiare e anche molto interessanti dal punto di vista della loro realizzazione. È proprio un piatto bellissimo, eccezionale!
Pasta e fagioli, albicocche e basilico
Il secondo piatto è un piatto della tradizione che vede come protagonista lo zito, questa pasta sottile farcita con crema di fagioli e gratinata leggermente. Anche qui c’è un gioco intelligente ma anche legato alla semplicità. Sappiamo tutti che per fare della buona cucina non è necessario complicare troppo le cose sotto il punto di vista del gusto. L’edizione del 2016 del concorso The Vegetarian Chance vide come vincitore lo chef Antonio Zaccardi grazie alla semplicità del gusto italiano. Anche Antonio Cuomo ha rappresentato in modo assolutamente eccellente il gusto italiano.
BARBARA GHIZZONI
La persistenza della memoria: la mia Cremona
Arrivando dagli studi dell’arte, Barbara ha interpretato il mondo della cucina da un punto di vista artistico, dedicando i suoi piatti a due grandi pittori. Il primo piatto è legato alla tradizione e quindi alla città natale della chef, Cremona, e il rimando è a Dalì. Nell’impiattamento risaltano il campanile realizzato con un croccante salato e la foglia, come simbolo di The Vegetarian Chance.
Ai confini del blu
Ai confini del blu è dedicato a Pollock artista al quale, ricordiamo, anche il grande maestro Marchesi dedicò un piatto. Barbara lo ha interpretato attraverso le macchie di succo di rapa rossa e una pennellata azzurra di soyanese all’alga spirulina. Troviamo poi le verdure fermentate e le sfere di carote, zafferano e zenzero molto interessanti. Neal Barnard, in giuria, ha apprezzato tantissimo l’elemento salutare del piatto: il riso rosso agrodolce.
YOSHIKO HONDO (La seconda classificata)
Alchimia zen
Yoshiko ha portato una ventata di Giappone al Festival. In Occidente pensiamo sempre ad aggiungere gusto nella cucina, invece la cucina orientale e quella giapponese in particolar modo è una cucina del non-gusto, dove si va per sottrazione e non per aggiunta di alimenti. I suoi piatti erano infatti di una essenzialità straordinaria. Insieme al cibo la chef ci ha portato anche il rito, ovvero il pensiero legato a ciò che lei fa, ciò che prega, ciò che raccoglie e ciò che cucina. Prima di assaggiare il piatto abbiamo aperto i bastoncini nei quali era nascosto dell’oro e quindi, rompendoli, l’oro è andato a posarsi sul piatto creando un effetto visivo stupefacente. La zuppa di miso bianco aveva un gusto straordinario. Le verdure erano condite in modo semplice e il piatto era decorato con delle pennellate di sesamo nero.
Meravigliosa terra
Il secondo piatto di Yoshiko è un chirashi sushi. Una nota culturale: la grande cucina giapponese, che è denominata Kaiseki-ryori, deriva dalla shojin-ryori, che è la cucina dei templi giapponesi la quale era per essenza sempre vegetale. La chef Hondo interpreta quella cucina. Nei templi dopo l’abate la persona più elevata in giappone era il cuoco, perché la cucina era estremamente importante per far sì che i monaci potessero pregare nel modo giusto. La cucina mediterranea è diventata patrimonio dell’umanità per i suoi valori nutrizionali e la seconda cucina che nel mondo è diventata patrimonio dell’umanità è proprio quella del paese del Sol Levante. In questo chirashi sushi troviamo un’alga che è stata arrostita a bassa temperatura, un riso cotto con del fiordaliso che una volta ricoperto di limone passa dal colore blu al colore viola e uno strepitoso tofu vellutato con sopra miso e mandorle. Infine abbiamo delle sfere trasparenti che sembrano quasi delle uova mistiche, un assieme di consistenza ma dove il gusto era assente: qualcosa da un pianeta totalmente diverso.
MANFREDI RONDINA
Fave e pecorino
Il primo piatto presentato da Manfredi Rondina è un piatto legato al suo territorio, il Lazio. Il gioco è dato dal “finto pecorino” fatto in realtà di noci con un rejuvelac. Gli altri elementi sono la crema di fave realizzata con le fave raccolte nel suo giardino e una cialda di mais rosso. Manfredi è stato molto bravo ad impiattare.
Del carciofo non si butta via niente
Protagonista del suo secondo piatto è una pasta speciale, nata una volta in cui lo chef, mettendo troppa farina nell’impasto di uno gnocco creò questo raviolo. Con il suo piatto Manfredi cerca e trova l’armonia grazie alla forma a spirale e grazie anche alle forme implicite di questo carciofo. Ho riscontrato il sentimento dello chef mangiando il suo piatto e questa è una cosa da pochi.
FEDERICA SCOLTA
Orzotto
Federica è stata nei piatti forse la più concreta tra i concorrenti di questa edizione. Il suo primo piatto è un orzotto, dal punto di vista di noi giurati molto femminile nel gusto, grazie alle note dolci e avvolgenti. Perfetta l’aggiunta degli asparagi selvatici. Un piatto molto equilibrato e molto buono.
Zuppa dai mille colori
I piatti di Federica Scolta hanno la capacità di fare emergere davvero la qualità del loro contenuto. Nella sua zuppa scomposta si sente che una carota non è una semplice carota ma qualcosa di più, una particolare carota appositamente scelta. I germogli, il pane, il cavolfiore, ogni ingrediente all’interno del piatto ha una storia. L’ho trovato davvero molto autentico e in grado di gratificare l’italianità vegetariana.