The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Soil to Soul a Zurigo. Nel suolo la nostra anima

Patate a polpa rossa nel mercatino

Entro il 2050 il 90% del terriccio terrestre sarà a rischio, non sarà cioè utilizzabile per l’agricoltura. Lo dice la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Ogni cinque secondi si erode suolo equivalente a un campo di calcio. E non è un danno rimediabile molto in fretta se consideriamo che ci vogliono mille anni per creare solo pochi centimetri di terriccio. Di fatto, il 33% dei suoli del mondo risulta da moderatamente a fortemente degradato, a causa di erosione, perdita di nutrienti, acidificazione, salinizzazione, compattamento (causato dal peso delle macchine agricole) e inquinamento chimico (pesticidi e fertilizzanti). Il suolo è la nostra vita, più del gas, del petrolio, di Internet e dei satelliti. Lo ha capito molto bene l’imprenditore svizzero Thomas Sterchi, che nel 2021 ha creato con alcuni soci in Svizzera e Portogallo Soil to Soul, un movimento internazionale per la preservazione del suolo, l’agricoltura rigenerativa. Il fine non è solo quello di difendere la terra che abbiamo sotto i piedi dalle speculazioni e la mala agricoltura, ma anche quello di sottolineare l’importanza di una nutrizione responsabile, sana e godibile. Ogni anno in settembre Soil to Soul organizza a Zurigo nel quartiere di Sihlcity un simposio di quattro giorni con conferenze, dibattiti, proiezioni e un selezionato mercato a tema di produttori. Quest’anno l’evento si è svolto dal 15 al 18 settembre. Il suolo si poteva ascoltare in cuffia e annusare. Diversi tipi di suolo producono diversi tipi di suono e di profumo.

Nei bicchieri il suolo profuma più del vino

Un suolo che non fa rumore e che non ha odore è un suolo morto, ha perso i migliaia di microorganismi che lo popolano e lo nutrono. Per capirlo bastava appoggiare una cuffia alle orecchie o mettere il naso in bicchieri da vino per l’occasione riempiti di terra.

Più è alta l’asticella e più alta è l’impronta carbonica. Un progetto del Comune di Zurigo.

Nello stand del comune di Zurigo Lisa Halter presentava un progetto di comunicazione per adulti e bambini in grado di spiegare con grafici e disegni la differente impronta carbonica di ogni cibo. Non sono mancati esempi di biodiversità come le patate con la polpa rossa, l’aglio orsino conservato col sale, una senape coltivata e lavorata artigianalmente in Svizzera, e poi bevande fermentate come il kombucha e un’acqua tonica speciale. Tra gli ospiti più prestigiosi c’è stato lo chef inglese Tom Hunt, che col suo ristorante Poco, a Bristol, ha vinto molti premi, tra cui quello per il miglior ristorante etico agli Observer Food Monthly Awards. Hunt è noto anche in Italia per il suo libro Cucinare per il piacere, le persone e il pianeta. Hunt ha raccontato il suo impegno a far conoscere l’origine del cibo, a recuperare il rapporto con le origini, quello che lui chiama: food foraging. Per questo i cuochi dovrebbero tornare al suolo come garanzia del loro rapporto con la natura.

Hunt è vegetariano, ma non rinuncia a volte ad assaggiare qualche piatto di carne. Decisa è la sua posizione contro l’allevamento industriale e il “cibo chimico” prodotto dalle aziende alimentari. Secondo lo chef inglese, attivista del clima, fermare gli allevamenti intensivi è complicato, ma è necessario anche per eliminare pericolosi ambienti, che fanno da incubatori a malattie infettive per esseri umani e animali.

Tom Hunt a Soil to Soul

Infine Hunt ha rimarcato il valore del buon cibo per dare gioia e non per caso ha aperto il suo intervento distribuendo a tutti gli spettatori un assaggio di ottimo cioccolato. Originali i cibi proposti dai food truck dell’evento. Tra questi degli spiedini vegani alla coreana a base di okara (avanzo di produzione del latte di soia) e proteine di pisello e un piatto di verdure con jackfruit, la “carne vegetale” tropicale. Nel pomeriggio del 16 settembre il Comune di Zurigo in collaborazione con alcuni cuochi della città ha offerto alla cittadinanza in Bürkiplatz un pasto cucinato con tutti gli scarti dell’agricoltura.

Shroomy il panino vegano trasparente

Contro lo spreco volontari spiegavano inoltre quali pani si conservano meglio senza poi finire nella pattumiera. Contaminazioni vegane si sono viste anche nella più generalista fiera di Food Zürich vicino alla stazione: da gustare Kaiserschmarren vegani con salsa di pere, hummus cremoso con cavolfiore arrostito preparato da Ofir Goldring e sabich (panino con melanzana arrostita) di Yinnon Mizrahi, due cuochi israeliani giunti appositamente da Tel Aviv, un panino vegano spiegato con un convincente manifesto, che illustra tutti i suoi ingredienti sani, vegetali e gustosi. E da notare poi l’originale scenografia delle “sale da pranzo” illuminate da grattugie e decorate con posate da cucina.

 

 

 

 

 

 

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Deserto e Artide: quante domande. Al Festival di Locarno due film sull’esistenza umana e del pianeta

Alla ricerca di messaggi criptati dal cielo

Il cielo nel nostro immaginario rappresenta l’infinito, l’assoluto, lo spazio incommensurabile che ospita i nostri cari che ci hanno lasciato. Difficile fare domande al cielo e avere delle risposte, ma questo sembra invece possibile nel deserto africano. È il tema del film marocchino Fragments from Heaven di Adnane Baraka presentato al Locarno Film Festival in concorso nella sezione Cineasti del Presente. Un nomade, Mohamed, e Abderrahmane, uno scienziato, battono palmo a palmo il deserto con altri aiutanti per trovare frammenti di meteoriti. Ognuno con un suo sogno. Il primo ha quello di guadagnarsi il denaro per una vita migliore, il secondo, invece, indaga sulle origini dell’universo. Cerca tracce di una stella più vecchia di quella che ha portato la vita sulla Terra. In questo angolo di deserto marocchino si sono verificate di recente diverse piogge di meteoriti, «frammenti di paradiso», che contengono informazioni sull’origine della Terra e della vita. Distinguere i frammenti di meteoriti da altri semplici sassi non è semplice e capita spesso a Mohammed e i suoi amici di essere tratti in inganno e poi delusi. La loro vita da nomadi è dura. Per casa hanno una tenda, per il cibo si affidano alle loro pecore e procurarsi l’acqua è molto impegnativo. Una questione di sopravvivenza, che riguarda il nomade, ma anche lo scienziato. C’è l’ostilità del deserto, ma anche quella del cosmo dove la Terra può essere in pericolo. Il deserto nella sua purezza e uniformità è il luogo ideale per farci prendere le distanze dalle sovrastrutture umane nelle quali siamo immersi ogni giorno. Alla fine non veniamo tutti dal cielo? Si domanda il regista.

Agli antipodi del deserto c’è il paesaggio polare delle isole Svalbard (costa fredda), dove è ambientato il film Návštěvníci (The Visitors) della regista ceca Veronika Lišková, presentato a Locarno nella sezione La settimana della critica. Un studiosa ceca, Zdenka, si reca con l’intera famiglia in questo remoto territorio della Norvegia per realizzare una ricerca antropologica sugli abitanti di questo territorio, dove la popolazione autoctona (3000 abitanti) convive con studiosi e ricercatori da ogni parte del mondo.

Di fronte ai bambini delle Svalbard uno spazio che si apre verso l’infinito

La natura è ostica, ma pura, preservata da neve e ghiaccio. Le conseguenze dell’emergenza climatica arrivano comunque anche qua dove il permafrost si scioglie e dove il paesaggio con le sue infrastrutture umane è in continua mutazione. A sciogliersi non sono, però, solo i ghiacci bensì anche i diritti degli stranieri qui residenti anche da molti anni. La Norvegia non riconosce a chi va a risiedere nelle Svalbard lo stesso status di chi invece si stabilisce nel suo territorio continentale, dove i benefici derivano dall’obbligo di visto, che invece nelle isole artiche non è richiesto. Di fatto i non norvegesi che vengono a stabilirsi nelle Svalbard lo fanno a loro rischio e pericolo senza assistenza medica e sociale. Zdenka deve misurarsi contemporaneamente con due drammi: quello ecologico e quello umano. Ma le Svalbard non perdono il loro fascino: quel deserto di ghiaccio e neve offre anche allo spettatore come nel deserto in Marocco un’altra prospettiva rispetto a vite più confortevoli e protette.

 

 


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Camera con vista sui rifiuti. A un doc austriaco il Pardo verde WWF del Locarno Film Festival

Una collina verde e una di rifiuti nel Sud est Asiatico

Tutti i giorni ciascuno di noi ingaggia una lotta con i rifiuti che produce. Il guaio è che questa nostra produzione di rifiuti è sempre più consistente e soprattutto rapida. Un sacchetto può rimanere tra le nostre mani pochi minuti, e così il cibo, che non mangiamo. Più tempo durano i vestiti e gli apparecchi elettronici, ma il nostro desiderio di sostituirli in fretta è quasi spasmodico. Ma tutti questi rifiuti dove finiscono e chi se ne occupa? Non ce lo domandiamo abbastanza ed è proprio per questo che il documentario Matter Out of Place ci dà una risposta cruda, senza scrupoli e a tratti ironica. Il documentario, diretto dal regista austriaco Nikolaus Geyrhalter, è stato presentato al concorso internazionale del 75 Locarno Film Festival e ha vinto il Pardo Verde WWF istituito quest’anno per la prima volta.

Il regista austriaco Nikolaus Geyrhalter riceve il Pardo Verde Ti-Press / Massimo Pedrazzini

Con le sue immagini senza commento Geyrhalter ci guida in un viaggio sul destino dei rifiuti nel mondo: dai luoghi più «idilliaci» come le Maldive e una stazione sciistica svizzera fino al Sudest asiatico dove le montagne di rifiuti accumulate fanno parte del paesaggio. In altezza rivaleggiano con le colline circostanti. E dagli odori che dispensano nell’atmosfera da spettatori siamo, per fortuna, dispensati. Nel resort di lusso ai tropici alla vista dei turisti invece dei pesci emergono dall’acqua ovunque oggetti in plastica. In Svizzera sanno proteggere le loro montagne molto amate dagli sciatori, ma per farlo devono far scendere a valle camion appesi alla funivia.

Nel Vallese in Svizzera una funivia porta a valla un camion di rifiuti

E alla fine eliminare tutto questo pattume sembra impossibile. Ne produciamo più di quanto riusciamo a smaltirne. Ce lo dimostra Geyrhalter quando ci fa incontrare gli oscuri protagonisti dello smaltimento: quelli che bruciano o seppelliscono e quindi inquinano e quelli che raccolgono, per lo più volontari, che credono nel riciclo. Proprio questa soluzione, secondo il regista, non è poi così risolutiva come ci illudiamo. «Per riciclare consumiamo molta energia e produciamo di fatto nuova materia da usare e riciclare», ha detto rispondendo a una mia domanda sul riciclo in un incontro col pubblico. «Non sta a me proporre soluzioni. Io faccio il regista e racconto un problema con le mie immagini. Poi sta ad altri trarre delle conclusioni sull’impatto della nostra esistenza su questo Pianeta». Il pensiero del regista traspare anche dal titolo Matter Out of Place, che come spiega in una didascalia significa: «qualunque oggetto o impatto che non è naturalmente parte dell’ambiente immediato». Nikolaus Geyrhalter è da sempre impegnato sul fronte ambientale e questo film completa una sua trilogia composta anche da Unser täglich Brot, 2005 sulle ipocrisie delle industrie alimentari e da Earth, 2019, che raccontava le devastazioni provocate dalle miniere a cielo aperto.

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Gabriele Eschenazi