The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


Lascia un commento

A Tuttofood la metamorfosi della carne: da animale a vegetale

Fantasia di “carni” vegetali a Tuttofood

Tuttofood è un’enorme esibizione di cibo industriale prodotto e confezionato in tutti i modi possibili. Quindi prodotti più o meno ricchi di conservanti ed additivi, confezioni più o meno sostenibili con un utilizzo di plastica sempre molto abbondante e spesso inutile. L’orientamento generale delle aziende è sempre più quello di proporre cibo pronto uso quindi o da cucinare in fretta o da mangiare facilmente in ogni situazione. Pare che gli italiani in media non trascorrano più di un’ora al giorno in cucina ed è quindi giocoforza che mangino piatti pronti o frequentino ristoranti «da meditazione» o «da toccata e fuga». Una realtà che pone non pochi problemi di salute stante l’impossibilità di tenere sotto controllo gli ingredienti di piatti cucinati da altri. A questo anche i produttori si stanno in parte adattando riducendo la quantità degli ingredienti e rendendo le etichette più trasparenti. A questa logica non sfuggono i prodotti a base vegetale, che a volte a ragione, ma a volte no, si giovano di una nomea di salubrità rispetto ai cibi a base animale. In quest’edizione di Tuttofood la vetrina di surrogati vegetali della carne è stata davvero ampia e piuttosto interessante. L’olandese PLNTFOOD propone in versione vegetale praticamente tutte le tipologie di prodotti animali frammentati più diffusi nella cucina veloce. E per farlo usa pisello giallo, la soia, il glutine di frumento. Pollo al curry, filetti di salmone, shawarma, straccetti di manzo e naturalmente hamburger. I sapori si differenziano molto in ogni ricetta anche perché l’elenco degli ingredienti è piuttosto lungo e comprende spezie ed erbe. L’azienda francese Umiami punta invece sui «petti di pollo». Con proteine della soia, fibra di avena e una tecnologia all’avanguardia è riuscita ad ottenere una materia prima del tutto simile a quella animale per consistenza e gusto. Non per niente il titolare dello stand spiegava ai suoi interlocutori: «Non produciamo questo «pollo vegetale» per i vegani, ma piuttosto per gli onnivori che vogliono mangiare meno carne. Io mangio carne e non mangerei mai questo nostro filetto di pollo se non assomigliasse in tutto e per tutto all’originale». Tutt’altro approccio ha invece l’azienda svizzera Planted che ha scelto come suo testimonial il più prestigioso chef vegetariano d’Europa, Pietro Leemann, anch’esso svizzero e cofondatore di The Vegetarian Chance. «L’obiettivo di questi prodotti», ha spiegato Leemann, «non è tanto quello di imitare la carne quanto piuttosto di offrire a chi vuole alimentarsi a base vegetale un alimento sano, subito pronto, gustoso e che non necessita di troppo tempo per essere impiegato». I prodotti Planted si distinguono per ingredienti molto riconoscibili e semplici. La base è la classica proteina di pisello alla quale vengono aggiunti poi spezie di vario tipo a seconda della ricetta. Si richiamano a pollo, maiale e manzo, ma per Leemann sarebbe opportuno che presto non sia più così: «Questi cibi meritano di vivere di identità propria e non come imitazioni di qualcos’altro». Alla conquista dei numerosissimi amanti delle polpette si è lanciato il marchio Beamy di MartinoRossi che ha presentato con lo chef Emanuele Giorgione, vegano, consulente di cucina-benessere, un pratico impasto secco per polpette. L’aggiunta di acqua e due cucchiai d’olio lo rende ben compatto per preparare delle polpette gustose e subito pronte. Il segreto è la presenza tra gli ingredienti della metilcellulosa (E461) un addensante-agglomerante che tiene insieme legumi (non soia), farina di mais e ortaggi in polvere. La metilcellulosa invece non c’è nel preparato per ragù dove invece è stata aggiunta una fibra vegetale di psillio.
Soia o legumi, soprattutto l’economico pisello giallo, sono la base proteica di ogni imitazione vegetale della carne, che poi si giova di tecnologie sofisticate o agglomeranti/addensati per ottenere una consistenza simile alla carne. Sul mercato ci sono, però, altre ricette interessanti che usano altre materie prime quali i semi oleosi. E’ il caso dell’azienda israeliana More Foods, non presente in fiera, che propone kebab, trita o bistecche a base di semi di zucca e girasole.

Il kebab di More Foods

In fatto di somiglianza estetica e consistenza il risultato più eclatante è stato ottenuto da un’altra azienda israeliana, Redefine meat. Il segreto in questo caso a parte gli ingredienti è la stampante in 3D. Il gradimento sul mercato è stato tale che per la commercializzazione del prodotto Redefine meat si avvale della partnership con Giraudi, un’importatore di carni di lusso di Montecarlo. L’hamburger di questa azienda non però stampata in 3D si può mangiare a Milano al Mercato Centrale nella bottega di Joe Bastianich dove viene proposta con condimenti non vegani (formaggio, maionese). La bistecca e l’arrosto in 3D sono in vendita surgelati a Milano da Coccole di gusto. Il prezzo non è propriamente economico: 32 euro per 300 g. Sembra che la contrapposizione tra chi rivende carne e chi sostituti vegetali sia inesistente quando interessi economici coincidano.  Non viene meno, però, l’aspetto etico. Può un vegano eticamente coerente acquistare una «carne vegetale» da un distributore che vende per lo più carne animale vera e «pregiata»? Può mangiarla nello stesso posto dove l’offerta di carne è preponderante e dove fumi, odori e condimenti si confondono al punto di annullare ogni differenza e il valore di una scelta diversa?

Pubblicità


Lascia un commento

L’alternativa vegetale è viva e cresce insieme a noi

Antonio Cuomo A me che non piace il sushi vincitore concorso TVC 2018

In Italia il mercato dei prodotti vegetali si sta sviluppando a tal punto da essere ormai considerato una minaccia dagli allevatori intensivi, dai produttori di cibi a base di derivati animali e infine anche dall’attuale governo italiano. Il recente rapporto sull’Europa del Good Food Institute, che analizza la produzione di alimenti vegetali proteici, indica che in Italia c’è in effetti una crescita nei consumi delle alternative vegetali ai prodotti animali. Il nostro paese è al terzo posto in Europa per vendite di prodotti a base vegetale, mentre è al settimo in termini di spesa media pro capite. Il mercato italiano di questo «nuovo cibo» nel 2022 valeva 680,9 milioni di euro. Tra il 2020 e il 2022 le vendite sono aumentate del 21%. Al di là delle cifre e i dati statistici è difficile non toccare con mano questo fenomeno. Nei bar il «latte» vegetale non manca mai e così la brioche vegana. Le gelaterie propongono sempre più gelati vegani e anche le pizzerie si stanno adeguando inserendo in lista più pizze con sole verdure e legumi o simil formaggi a base vegetale. Più chiuso di fronte al fenomeno vegetale rimane il settore dei panini, dove gli affettati continuano a dominare la scena. Un discorso a parte merita il settore degli hamburger. La versione vegetale della polpetta è entrata ormai in pianta stabile nei menù delle hamburgherie italiche. Un espediente per riuscire a mettere insieme alla stessa tavola onnivori e veg in uno spazio iconico per chi vuole mangiare carne a basso costo. Che questi hamburger vegetali siano poi buoni, sani e cotti per certo su piastre separate è un’altro paio di maniche. E volendo come sappiamo ci sono ormai anche molti locali dedicati ai soli hamburger vegani. Consistenza giusta, panino morbido, molte salse, qualche boccone simbolico di verdura e patate fritte o anche al forno. Questo tipico prodotto da fast food è di fatto il più semplice da proporre senza carne. La contaminazione vegetale del panino più popolare nelle nostre città è indubbiamente un indicatore sulla variazione dei gusti e delle abitudini dei clienti della ristorazione. E ci indica che ci sono due strade per avvicinare più persone al cibo vegetale.

Foto di Rafał Chudoba da Pixabay

La prima, la più tradizionale è quella di proporre una cucina prettamente vegana con ingredienti chiari e riconoscibili (legumi, ortaggi, cereali) e senza alcun «travestimento». La seconda è quella dell’imitazione o dell’adattamento di cibi onnivori e questo è il caso dell’hamburger, della pizza, delle insalatone o delle bowl e ultimamente anche del sushi. Entrambe le strade stanno trovando il loro pubblico e dunque appare sempre più una partita persa quella di cercare di proibire l’uso di certi termini per definire commercialmente i cibi veg. Il latte vegetale si chiama latte in ogni bar e così avviene per vari termini mutuati dalla cucina tradizionale (tipo polpette, spezzatino, cotoletta, affettato). Se un cliente consapevole s’informa su che tipo di carne o pesce gli arriverà nel piatto difficile che non lo faccia per sapere se mangerà vegetale o animale.
Più complessa è la questione che riguarda la «carne coltivata» definita erroneamente «sintetica» dato che deriva direttamente da cellule animali e non create sinteticamente. Non è un prodotto a base vegetale, questo è certo. Si tratta piuttosto di carne prodotta senza uccidere alcun animale e che quindi dovrebbe incontrare il favore degli allevatori. Succede invece il contrario e il governo italiano ne proibisce la produzione in Italia, che già comunque non produce gran parte della carne che consuma. Così anche la carne coltivata sarà eventualmente importata e consumata in ogni caso se incontrerà i favori dei consumatori, non vegani convinti, ma onnivori etici ed ecologisti.

Latte di soia. Foto di bigfatcat da Pixabay

C’è poi anche l’alternativa proteica degli insetti, con la quale si cerca di dimostrare che gli allevamenti intensivi sono comunque sempre la soluzione. Basterebbe dunque variare la dimensione degli animali allevati e gli spazi da essi occupati per risolvere il problema. In realtà quello degli insetti è un paradosso clamoroso. Da una parte l’agricoltura industriale li distrugge e dall’altra li invoca come nutrimento. Gli insetti sono già un nutrimento in natura, ma non perché ce ne nutriamo direttamente, ma perché sono essenziali per la crescita e la riproduzione dei vegetali che mangiamo. Uno studio pubblicato su Nature ci racconta come l’emergenza climatica e l’abuso di sostanze chimiche in agricoltura stia dimezzando la popolazione di insetti in diverse aree del mondo.
Siamo vittime di fatto di un disorientamento alimentare diffuso e legato in gran parte agli interessi economici dei produttori di cibo. E l’unico antidoto a questa «confusione» è quello di fare delle scelte personali consapevoli e coerenti con la difesa dell’ambiente, i nostri gusti e soprattutto la nostra salute.


Lascia un commento

Quanta acqua consumano davvero gli allevamenti? Sul tema siccità riprendiamo questo articolo di Essere Animali

L’impatto ambientale degli allevamenti è molto impattante, come dimostra la quantità di acqua necessaria alla produzione di carne e derivati.

Sorgente: Quanta acqua consumano davvero gli allevamenti?