The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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We are unstoppable, another world is possible. Riprende da Milano la lunga marcia dei Fridays for Future

Salviamo la Terra (1)

Vanessa a Fridays for Future

Vanessa Nakate, attivista ugandese, sul palco di Milano

Venerdì 1 ottobre e poi anche sabato 2 a Milano decine di migliaia di giovani hanno manifestato per la «giustizia climatica» chiedendo ai governi della Terra quella svolta che invocano già da tempo e che non sembra vicina. Basta con il «bla bla bla», vogliamo i fatti, ha tuonato Greta Thunberg che ha trovato una sua alter ego africana nella 25enne Vanessa Nakate, fondatrice due anni fa di Fridays for Future in Uganda. Questa dimensione globale delle manifestazioni di Milano è uno degli aspetti più importanti di questo risveglio delle nuove generazioni che vogliono essere protagoniste del loro futuro da subito e non da domani quando il sistema tenterà di fagocitarli nel suo ormai insostenibile vortice delle produttività e della crescita infinita. Sul palco di Milano in piazza Damiano Chiesa sono saliti insieme agli italiani anche cileni, brasiliani, africani, europei. Tutti uniti da un unico messaggio: «We are unstoppable, another world is possible» e a sorpresa anche da «El pueblo unido, jamás será vencido». Peccato che sul palco non siano saliti gli Inti Illimani, che probabilmente ancora oggi con la loro canzone sarebbero capaci di trascinare le folle. È il concetto di unità e solidarietà che traspare da quello slogan e da quella canzone ad avere ancora oggi così tanta forza che nel pronunciare quelle parole sono apparsi anche dei «pugni chiusi». D’altra parte è difficile urlare degli slogan senza accompagnarli con una gestualità. Guardandoci indietro di oltre cinquant’anni sappiamo quanto quel «popolo unito» rimase in gran parte fittizio, ma anche quanto la forza della protesta e della mobilitazione abbia potuto fare da traino alla conquista di diritti civili e sociali, mentre i temi ambientali non erano percepiti come urgenti. Allora come oggi il nemico del cambiamento è il sistema, che nel tempo ha dimostrato una forza camaleontica incredibile nell’assorbire le proteste per poi proseguire nell’applicare la ricetta dello sviluppo e della crescita come unica strada per il «bene comune».

Greta a Fridays for Future ritagliata-1 (trascinato)

Greta Thunberg sul palco di Milano

Lo ha spiegato bene a Milano Greta Thunberg: «La lotta al cambiamento climatico richiede tutta la nostra capacità di innovazione, cooperazione e determinazione per realizzare quei cambiamenti di cui il pianeta ha bisogno. Con fatti e non solo parole, tutti insieme ce la faremo. Le parole “cambiamento climatico”, a voi cosa evocano? A me fanno pensare “posti di lavoro”, di lavoro green, molto green. Occorre trovare una transizione morbida verso un’economia a emissioni ridotte. Non abbiamo un pianeta B. Non abbiamo un pianeta bla – bla bla bla, bla bla bla… Non parliamo di un costoso gesticolare di correttezza politica green e accarezza-cuccioli o bla bla bla… Ripartiamo col Recovery bla bla bla…Economia green bla bla bla…Zero netto al 2050 bla bla bla… Zero netto bla bla bla…Impatto zero bla bla bla…Sono queste le cose che sentiamo dalle bocche dei nostri presunti “leader”. Parole, tante parole, tutte ad effetto, ma che finora hanno portato a zero fatti. Annegano i nostri sogni e speranze nel loro oceano di parole e promesse vuote.Cartello giustizia climatica (1) Certo, occorre ingaggiare un dialogo, ma siamo ormai a trent’anni di bla bla bla,e a cosa è servito? Oltre il 50% della CO2 in atmosfera è stata rilasciate dal 1990 ad oggi. Dal 2005 ad oggi addirittura il 33%. E mentre avveniva, i media ci riportano solo quel che i leader dicono che faranno, anziché cosa realmente stanno facendo. E poi nessuno gliene chiede comunque mai conto di quello che fanno, o meglio: non fanno».
C’è un’urgenza ha ribadito poi Greta: «La speranza non è stare a guardare. La speranza non è bla bla bla. La speranza è dire la verità. La speranza è agire di conseguenza. E la speranza viene sempre dalle persone comuni. E noi, noi persone, vogliamo un futuro salvo, vogliamo vere azioni a salvaguardia del clima, e vogliamo giustizia climatica. Mi avete sentita? Cosa vogliamo? GIUSTIZIA CLIMATICA! Quando la vogliamo? ORA! I nostri “leader” dicono volentieri “ce la possiamo fare”. Ma lo dicono per finta, mentre noi lo diciamo sul serio. Noi possiamo farcela. Ne sono straconvinta. E parte dalle persone. Parte dal confronto con la realtà, per quanto possa essere doloroso. Parte con azioni vere, e parte ora e qui. Ancora: Cosa vogliamo? GIUSTIZIA CLIMATICA! Quando la vogliamo? ORA!».
Greta da un lato fa appello alle persone, dall’altro si appella ai governi che hanno in mano gli strumenti per cambiare le politiche. Come si può arrivare a un’inversione di rotta? Partendo dal basso o dall’alto o più facilmente da una combinazione di entrambi? Pretendere «la rivoluzione» dagli stessi responsabili del danno può sembrare un paradosso, ma invocare una «rivoluzione proletaria» di marxiana memoria non ha più senso. E non perché non esistano enormi disparità sociali o lavoratori e popoli sfruttati, ma perché esiste ormai la consapevolezza che lo sfruttamento non è più solo delle donne, degli uomini e dei bambini, ma lo è anche massivamente degli animali, delle piante, del suolo, del sottosuolo, delle acque. La corsa all’accaparramento di risorse umane e naturali sembra inarrestabile. Eppure sappiamo che le risorse del nostro Pianeta sono «finite» e non «infinite» come erroneamente il sistema capitalistico lascia intendere. Antother world is necessary (1)L’emergenza climatica, che colpisce più violentemente i paesi più deboli economicamente, è avvertita anche in Europa, negli Usa, in Australia. I possessori delle ricchezze e gli sfruttatori delle risorse stanno comprendendo che il loro benessere non è destinato a durare in eterno. E allora tutti si riempiono la bocca di sostenibilità, di «bla, bla, bla» pensando di poter rimandare quanto più possibile il problema. Proprio della contrapposizione tra realtà vera e rappresentata parla il film presentato in questi giorni a Cinemambiente Animal di Cyril Dion che racconta il viaggio di due giovani attivisti, i sedicenni Bella Lack, londinese, e Vipulan Puvaneswaran, parigino, in giro per il mondo per vedere da vicino la realtà per la quale stanno lottando. Entrambi vegani e ambientalisti si muovono con curiosità e spirito critico tra allevamenti di conigli in Francia e «giacimenti» di plastica in India.

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Bella Lack, londinese, e Vipulan Puvaneswaran, parigino in Africa (in alto) e in India su una spiaggia di plastica (sopra). 

Si rendono conto che la sesta estinzione di massa è già in corso e che gli insediamenti umani sono delle bolle che creano l’illusione di poter vivere separati dalla natura. Quelli che sono chiamati «consumatori», ma sono in realtà «cittadini», «persone» hanno una grande forza. Possono orientare la produzione di cibo, per esempio. Già oggi vediamo crescere l’offerta sul mercato di prodotti sostitutivi della carne, dei latticini e persino dei pesci. Significa che c’è domanda, che i cittadini più ricchi del mondo, quelli che inquinano di più, stanno acquisendo consapevolezza. Ma non basta. Ci vorrà presto anche uno sciopero dell’hamburger!

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In Italia vegetariani e vegani fanno bene alla salute di tutti

Il Food Truck Cucinando su due ruote all’edizione 2018 di The Vegetarian Chance

Nei pressi di piazza Duomo a Milano di fronte al Museo del Novecento tutti i giorni all’ora di pranzo staziona un piccolo food truck, che propone solo panini vegani a base di cofu, il seitan nel suo nome originario. Quasi nessuno dei suoi clienti è vegano, però i suoi panini piacciono e sono in tanti ad acquistarli di nuovo dopo averli assaggiati. Nei bar italiani è ormai normale poter ordinare un cappuccino alla soia o con altro simil-latte vegetale, trovare una brioche vegana, bere un estratto o una centrifuga. Il salutismo vegetale ha fatto breccia nei bar, dove di salutare in genere c’è sempre stato davvero poco. Nel settore del salato, invece, dominano incontrastati i panini a base di salumi, le pizze col formaggio e le insalatone arricchite con salmone, tonno, uova e mais in scatola. La rivoluzione vegetale nella piccola ristorazione è evidentemente incompleta. Un’indagine di Eurispes ci conferma che è proprio ai banchi della ristorazione veloce che i vegetariani e soprattutto i vegani trovano più difficoltà a soddisfare il loro appetito. Ben il 73,6% dei vegetariani interpellati ha dichiarato che mangiare in aereo, treno, nave e autogrill è spesso un problema se ci si attiene ad un’alimentazione vegetariana/vegana. Migliore è la situazione nei ristoranti dato che su un totale di 225.490 esercizi recensiti nel nostro paese su Tripadvisor il 23,4% propone menu vegetariani e il 17,2% menu vegani. C’è movimento nelle abitudini alimentari degli italiani e ad essere coinvolti non sono solo i fautori della scelta veg. Infatti, sempre secondo Eurispes, vegetariani e vegani in Italia non sono in aumento: a dichiararsi vegetariano è il 6,2% degli italiani, mentre i vegani sono fermi allo 0,9%. Come dunque si concilia la crescita dell’offerta di fronte a una presunta stabilità della domanda? La risposta non può che essere una sola e cioè che sempre più persone hanno ritenuto necessario e utile aumentare il consumo di alimenti vegetali a fronte di quelli animali, ai quali non hanno però deciso di rinunciare del tutto. Le motivazioni possono essere le più varie, ma senza dubbio la digeribilità del cibo e la salute sono le principali. Una suggestione in questo senso ci arriva dalla pubblicità televisiva: gli spazi dedicati ai digestivi, ai farmaci antireflusso e anticolesterolo sono ripetuti e insistenti. Si mangia male e poi si cerca un rimedio nei farmaci. Forse in molti sono giunti alla conclusione che mangiando meglio potranno anche fare a meno dei farmaci. Vegetariani e vegani fanno dunque bene alla salute di tutti, inducono i ristoratori a modificare la loro offerta in senso più salutistico. Dopo la farina integrale negli impasti delle pizze il prossimo passo sarà la diminuzione drastica in tutte le ricette di sali, zuccheri e grassi. Non sarà facile. Sono proprio questi gli ingredienti che rendono i cibi più appetibili e vendibili e che nel corso degli anni hanno via alterato il nostro gusto fino a farci dimenticare i sapori originari e non artefatti.  


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Quant’è strano essere vegetariano a Milano

 

 

“Natura viva” alla serata Convivio di Visitflanders a Museo Bagatti Valsecchi a Milano. Nelle Fiandre i ristoranti vegetariani sono sempre più numerosi. Foto di Emmanuel Mathez

Quattro ristoranti vegetariani e vegani in meno. Il bilancio della ristorazione a base a vegetale a Milano nel 2018 non si chiude in attivo. In piazza di Porta Lodovica il negozio NaturaSì ha rinunciato al suo spazio ristorazione e non lontano in via Col di Lana è scomparsa un’insegna storica come Noi due. Più recenti, ma in grado di conquistare in poco tempo un nutrito gruppo di affezionati erano stati Molto Yin in via Boltraffio nel quartiere Isola e Mantra Raw Vegan in via Castaldi.

L’atmosfera vintage del ristorante Noi due

Questo segnale negativo giunge in un momento nel quale a Milano si aprono sempre più spazi monotematici per la ristorazione veloce. I riferimenti sono o la tradizione italiana con piadine, toast, pizze, fritti siciliani e napoletani o alimenti d’importazione quali i poke hawaiani, i tacos messicani, i panini bao cinesi. Si tratta di contenitori adatti a ogni pubblico dato che possono essere confezionati con carne, pesce o verdure a scelta del cliente, e anche nelle cosiddette hamburgherie è stata aggiunta una versione vegetale della polpetta più famosa (e più dannosa) del mondo. Che poi questi cibi siano anche sani ed economici è tutto da verificare. In genere l’apparenza conta più della materia prima, il sapore intenso (molto sale, zucchero, grassi) conta più della salubrità. Chi ha fatto una scelta in favore dell’alimentazione vegetale per il benessere suo e del pianeta non si può facilmente accontentare anche se a volte si adatta per mancanza di alternative. Non si può poi trascurare il discorso del tempo che dedichiamo a nutrirci. Mangiare in piedi o seduti su uno sgabello, ricevere il cibo servito in contenitori di plastica, di polistirolo o anche di cartone, rinunciare a percepire il gusto e la sostanza degli alimenti magari anche perché distratti dallo smartphone non sono situazioni che giovano alla nostra esistenza. I luoghi che hanno chiuso e quelli che non si sono aperti erano comunque luoghi che proponevano una scelta di cibo consapevole.

Un piatto del Mantra Raw Vegan. Via: https://www.mymi.it/

Se a Milano il panorama della ristorazione vegetale sta registrando dei passi indietro significa evidentemente che il nesso tra alimentazione salute personale e del pianeta non è ancora stato recepito né dai ristoratori, né dai consumatori. In altre città d’Europa come Zurigo, Amsterdam, Berlino, Vienna, Varsavia, Budapest, Anversa l’alternativa vegetale è in espansione e si propone a un pubblico sempre più interessato a modificare le proprie abitudini alimentari. La dinamica Milano sembra aver dimenticato di aver proposto al mondo nel 2015 a Expo il tema Nutrire il pianeta. E che questo si debba fare senza carne è ormai acquisito. Una grossa responsabilità sul tema ricade sulle spalle dei grandi chef, che hanno eletto Milano come la loro casa. Da loro si aspetta una vera svolta in direzione della sostenibilità e della salute.