The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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C’era una volta il Salone del Gusto

La marcia Slow Food Youth Network x Fridays for Future per le strade di Torino

Appena varcato il “posto di blocco” del Parco Dora a Torino l’impressione è quella di aver sbagliato indirizzo. Invece di essere investiti da messaggi sull’emergenza climatica le narici sono invase da effluvi di carne arrostita. I food truck, uno dopo l’altro propongono birre e panini come in qualunque altra fiera o mercato del cibo in Italia. Da Slow Food si mangia Fast Food. Per ritrovare qualcosa dei gloriosi tempi passati bisogna spingersi più in là verso i mitici presidi, tutti sistemati in corridoi angusti dove masse di gente si lanciano a degustare prodotti, dei quali nulla sa e nulla vuol sapere. Per i produttori, che vorrebbero anche vendere, non è facile distinguere tra chi è davvero interessato a conoscere la loro storia a presidio del territorio e chi no. E così si ritrovano a produrre assaggini a getto continuo. Ma ha davvero senso mescolare nella bocca briciole di formaggio, cucchiaiate di zuppa, croste di pane con marmellata, bicchierini di vino o succo senza ascoltare alcuna spiegazione? Il mito del cibo goloso, toccato e gratis si sostituisce in fretta al buono, pulito e giusto di antica memoria.

Assaggiare per conoscere?

Alla frustrazione dei volontari che presentano i presidi forse non corrisponde quella del mercato vero e proprio dove non è facile distinguere la qualità, ma la gente compra. Nemmeno il biologico è una discriminante. Inutile chiedere: le risposte sono sempre quelle: «Non ci metto niente», «La certificazione costa troppo», «Il bio non è credibile». Uscendo dal territorio italiano si fanno scoperte interessanti come il caffè filippino o i vegetali energizzanti in polvere del Sudamerica (Maca, camucamu, açaí), ma la rappresentanza dei cinque continenti è piuttosto ridotta rispetto alle precedenti edizioni. L’Ucraina ha giustamente un suo spazio, ma non è chiaro invece cosa c’entri l’Arabia Saudita presente in forma ufficiale. Si tratta di un paese che al Salone del Gusto non dovrebbe avere cittadinanza.

LA MALA ORGANIZZAZIONE

I laboratori, che propongono temi interessanti, sono disorganizzati. In alcuni all’aperto nessuno controlla le prenotazioni, i posti sono quasi tutti in piedi, in altri al chiuso l’organizzazione è migliore, ma poi seguirli è un esercizio di pazienza considerando che sono posizionati in luoghi invasi dal rumore esterno. Le cuffie non bastano. In altre edizioni i laboratori erano stati posizionati in luoghi separati dal mercato ed erano organizzati molto bene.

La folla dei visitatori in attesa per 90 minuti per l’apertura il primo giorno

Qui al Parco Dora l’organizzazione è stata un punto dolente. Negli ampi spazi del sito l’evento è stato distribuito male. Di luoghi dove sedersi quasi nessuna traccia e i servizi igienici chimici sono stati lasciati senza manutenzione e senza igiene. La vetta della disorganizzazione è stata raggiunta fin dall’inizio il primo giorno quando l’apertura è stata ritardata di oltre 90 minuti lasciando i visitatori in piedi ad aspettare. Aggiungiamo che in giro c’è ancora moltissima plastica e nessun posto dove riempire le borracce. I volontari vicino ai bidoni dei rifiuti fanno quello che possono con abnegazione per tappare le falle.

PROPOSTE VEGANE QUASI INTROVABILI E NON MESSE IN RISALTO

Impossibile poi non notare che tra tutte le offerte di cibo, da mangiare sempre in piedi o su trespoli, non ce ne sia stata alcuna esclusivamente a base vegetale come ci si aspetterebbe da un evento ambientalista come il Salone del Gusto pretende di essere. Ancora hamburger e sempre hamburger di carne, verdura e frutta pochissima. Nessuno che ad esempio proponesse una zuppa, un’insalata  o un estratto. Al Salone del Gusto 2022 si è mangiato male, malsano e incoerente.

LA SECONDA ANIMA IN SECONDO PIANO

Ma sarebbe ingeneroso non parlare della seconda anima di Terra Madre Salone del Gusto, cioè quella dei progetti e delle proposte. Si è parlato di mense scolastiche, giovani ed agricoltura, finanza rigenerativa, prati e pascoli da salvare, rigenerazione, cooperative sociali. Ma quanti dei 350mila avventori se ne sono accorti? Non bastano scritte promettenti qua e là, una mostra all’aperto delle diverse tipologie di fieno posizionata quasi nascosta tra gli stand. La parola d’ordine di quest’anno è stata Food regenerAction. Sono stati enunciati a questo proposito principi lodevoli quali: non sprecare, meno carne più legumi, scelta di varietà ortofrutticole meno diffuse, pani con grani antichi, alimenti locali. Difficile trovarne però riscontro in loco. I legumi erano solo in mostra, ma non proposti come piatto da consumare. Lo spreco si misurava a vista d’occhio con cibi che in fretta prendevano la strada della pattumiera, pani con grani antichi non pervenuti. Ci vuole una comunicazione migliore, più ordinata, più indirizzata e più coerente. La tredicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto non dovrà più imitare altre fiere di cibo puramente commerciali altrimenti perderà inevitabilmente la sua anima.

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Climate Social Camp  a Torino dal 25 al 29 luglio. La voce delle nuove generazioni

Il surriscaldamento globale sarà ospite indesiderato del Climate Social Camp, che radunerà a Torino  nel Parco della Colletta dal 25 al 29 luglio migliaia di giovani ragazze e ragazzi da tutta Europa facenti parti di diverse organizzazioni ambientaliste prima tra tutte Fridays for Future. Dormiranno in tenda, mangeranno vegano e kilometro zero, plastica bandita. Il Climate Camp è organizzato su base volontaria e chiunque può dare una mano offrendo il proprio tempo. Intorno a sé una siccità tremenda che affligge il Piemonte, un depauperamento delle risorse idriche e un tasso d’inquinamento tra i più alti d’Italia. Il programma è fitto di incontri, dibattiti, socialità, concerti e momenti di incontro. Con l’emergenza climatica non sale solo la temperatura meteorologica, ma sale anche quella sociale e di questo i giovani ne sono ben coscienti.  Molti dei tempi del Campo saranno ripresi sempre a Torino anche a settembre a Terra Madre Salone del Gusto (Parco Dora 22/26 settembre) e ne parlammo nell’ultima edizione del Festival The Vegetarian Chance nel 2019.

Dalla homepage del sito:

Diversi movimenti, collettivi e attivisti si sono uniti per creare questo importante spazio e momento di confronto tra vari gruppi internazionali che lottano per la giustizia sociale climatica. L’obiettivo generale è quello di unire le questioni sociali e climatico-ambientali e di inquadrare la lotta contro il cambiamento climatico e la devastazione ambientale come una lotta contro una minaccia comune. I movimenti che hanno aderito all’Assemblea del Climate Social Camp studiano i legami tra il cambiamento climatico, la devastazione ambientale e l’impatto sulla società e sui diritti civili e dei lavoratori, partendo da diverse prospettive e metodi di analisi. Riteniamo che fare rete sia fondamentale per rafforzare il movimento globale in favore della giustizia sociale sul clima ed è per questo che vi invitiamo a partecipare al Campo!

Several movements, collectives and activists have joined together to create this important space and moment of confrontation between various international groups fighting for climate social justice. The overall aim is to unite social and climate-environmental issues and frame the fight against climate change and environmental devastation as a fight against a common threat. We believe in collaboration between ecologist actors and social movements who engage on local, regional or international intersectional issues.The movements who joined the Climate Social Camp’s Assembly investigate the links between climate change, environmental devastation and impacts on society and civil – workers’ rights, using different perspectives and lenses of analysis. We think that networking is fundamental to strenghten the global climate social justice movement and this is why we invite you all to come to join the Camp!


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La guida d’Identità Golose: il veg c’è, ma non si vede

Davide Guidara di Vulcanello premiato alla Triennale di Milano il 7 marzo

La Guida di Identità Golose  curata da Paolo Marchi, propone come sempre una ricca panoramica della ristorazione italiana ed estera (1055 insegne tra cui 100 pizzerie e 153 locali segnalati in 30 paesi). La sua ultima edizione online è stata presentata a Milano alla Triennale il 7 marzo di fronte a un pubblico di addetti ai lavori, giornalisti e comunicatori. Alla guida sono da sempre associati dei riconoscimenti ai giovani ristoratori e ristoratrici che si sono distinti in un particolare settore. Le categorie sono 19  e vanno dal migliore e la migliore chef fino ai migliori pasticciere, pizzaiolo, maître, sommelier, food writer, sperimentazione in cucina, contaminazioni. Nessuna di queste categorie fa riferimento alla sostenibilità o alla cucina vegetale. Un’assenza che pesa per i tempi che stiamo vivendo. Eppure sarebbe bastato riferirsi alla categoria Identità naturali che esiste già al congresso e che di solito propone chef vegetariani e vegani. Poi se invece di “Identità naturali” si passasse a “Identità vegetali” sarebbe un passo avanti anche nel senso della chiarezza. Tra i premiati ve ne sono alcuni che si distinguono per essersi avvicinati completamente o parzialmente alla cucina vegetale. Tra questi il primo è Davide Guidara del ristorante vegetariano I Tenerumi del Therasia Resort, Vulcanello (Messina). È stato inserito nella categoria Sperimentazione in cucina, che lascia intendere come per i vegetali nella cucina italiana sia richiesto ancora molto impegno per passare dalla fase della “sperimentazione” a quello della “applicazione” stabile nei menu. Il tempo, però, stringe e una cucina più sostenibile a base vegetale richiede una diffusione più ampia e più stabile. Come  Guidara in sede di premiazione ha spiegato cucinare i vegetali richiede una maestria specifica per esaltarne il gusto. E nelle scuole di cucina italiane ancora troppo poco spazio viene dedicato al trattamento di verdure, legumi e frutta. Della sua scelta Guidara va orgoglioso e così la spiega nel sito del ristorante: Il nostro essere vegetariani non si ferma alle sole proposte in menù, è una vera filosofia di vita: supportiamo il rispetto e salvaguardia dell’ambiente in tutta la filiera, coltivando i prodotti nel nostro orto, utilizzando ingredienti di origine biologica e sfruttando l’energia che arriva dai nostri impianti solari e fotovoltaici. La sua proposta consiste in un menu degustazione di 12 portate a sorpresa accompagnate ciascuna da una bevanda specifica in abbinamento. Tra i piatti proposti Carlo Passera sulla guida di Identità Golose segnala: melanzana, aglio e menta, “autentico capolavoro”, carnoso, voluttuoso, col contrasto caldo-freddo, lenticchie, alghe, fagiolo cosaruciaru e miso al pistacchio. Premiato come “Miglior pizzaiolo” Pier Daniele Seu di Seu PIzza Iluminati di Roma segnala lodevolmente nel suo menu le pizze vegetariane e vegane. Peccato che queste ultime siano solo due, delle quali una è la classicissima marinara. L’altra è Assoluto di funghi, mono ingrediente. Tra i dessert ne manca almeno uno a sola base vegetale magari evitando l’eccessiva presenza della ricotta in quasi tutte le ricette.

Il menu di Seu PIzza

L’indiano Himanshu Saini del Trèsind Studio, Dubai (Emirati Arabi Uniti) è stato premiato come il miglior giovane chef internazionale. Nel presentarsi ha spiegato come ha fatto sua la missione di far conoscere la cucina indiana al di fuori del suo paese in tutti i suoi sapori e profumi. E per farlo nel suo ristorante ricorre anche a piatti molto semplici, popolari e vegetali come il khichuri o khichdi a base di riso e lenticchie. In un’intervista a Euronews Saini spiega come questo piatto a base vegetale abbia una lunga storia e sia preparato in tutta l’lndia da ogni famiglia con ingredienti propri. Per questo nel suo ristorante è proposto con 20 condimenti diversi provenienti da diverse regioni e tra questi lo zafferano di Jammu, le mele verdi dell’Himachal Predesh o il chutney di papaya di Guirat. Un solo piatto per un lungo viaggio. Ai vegetali Saini attribuisce un ruolo importante nel suo menu anche se non esclusivo come si potrebbe sperare da un cittadino del paese più vegetariano del mondo.

Il viaggio in India attraverso il piatto di riso e lenticchie di Himanshu Saini

La Guida di Identità Golose online, disponibile anche in applicazione, non facilita il compito a chi vorrebbe trovare un ristorante almeno “amico” di vegetariani e vegani. Spulciando le diverse schede è possibile tuttavia notare come nei menu di molti chef i vegetali hanno assunto un ruolo quasi paritario a quello delle materie prime animali. Un indicatore importante per percepire come l’innovazione culinaria stia interessando materie prime per lungo tempo snobbate. Fare risaltare questa tendenza sarebbe una scelta opportuna per Identità Golose, che non per questo contaminerebbe la sua storica vocazione pluralista onnivora.