The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Cosa mangiano a cena i medici vegani come Neal Barnard? Un video di Plant Based News


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Il cibo vegano si rifà il trucco

Un piatto di Noriway a Milano via Instagram: https://www.instagram.com/noriway.milano/

Triste, insapore, monotono, pallido: sono alcuni degli aggettivi che normalmente vengono associati al cibo vegano. Non basta dire che si tratta di cibo più sano, amico del pianeta, nutriente. Le idee positive non stimolano appetito e richiedono tempo per essere elaborate. E se anche Ippocrate diceva «Fa che il cibo sia la tua medicina» non tutti si fanno convincere a ingoiare «la pillola». Ci vuole allora qualcosa di nuovo per assecondare palati troppo dipendenti da gusti salati, dolci e grassi e che dovrebbero essere gradualmente rieducati. Il primo passo è stato quello degli hamburger. Accanto a succulenti polpette di carne sono via via apparse sempre più delle alternative vegetali. E sono sorte catene della ristorazione rapida con un progetto gastronomico ben definito. Ne è sorta una che propone due veri e propri menu paralleli con la doppia scelta tra animale e vegetale. Un’altra esclusivamente vegetale già da qualche anno punta sul colore e ha un indiscusso successo. Il contenitore panino può essere rosso, nero o giallo con al suo interno salse variegate, verdure e una polpetta vegetale consistente e proteica. Anche il kebab sta attraversando una trasformazione simile a quella dell’hamburger. In questo caso la sfida è quella di imitare la consistenza della carne arrostita mantenendo il sapore con le spezie e il condimento. Il fenomeno non tocca più di tanto i rivenditori turchi o arabi molto ancorati alle loro ricette tradizionali, ma coinvolge piuttosto imprenditori italiani che hanno visto nel kebab una moda da cavalcare. Le alternative a base vegetale in locali di ristorazione veloce onnivora hanno un difetto: sembrano a volte più pensate per «fare un dispetto» a chi ha abbandonato i prodotti animali piuttosto che per soddisfare il loro palato. Sono spesso molto salati, grassi e poco invitanti. Per questo chi tra le tendenze della ristorazione ha pensato di orientarsi verso il Giappone è riuscito a fare la scelta più innovativa e interessante. Non è un segreto che il grande successo del sushi, che perdura da oltre vent’anni, è dovuto anche alla sua presentazione e alle modalità di fruizione dei vari nigiri, maki, uramaki, gunkan. Quelle forme geometriche precise, quei colori netti, quelle porzioni già delineate, quegli ingredienti così visibili.

Le box di sushi vegano di Essenza sushi
via: essenzasushi.it

Ecco che allora conservare l’apparenza e cambiare invece il contenuto può rivelarsi vincente. Lo testimoniano a Milano già due esperienze di questo tipo: il ristorante Noriway di Radice Tonda e il nuovissimo take away Essenza sushi. Entrambi hanno fatto tesoro dei successi della cucina giapponese di pesce per proporre combinazioni vegetali dai sapori originali, marcati e di fatto migliori dei monotoni tonno, salmone e gamberi. Verdure e legumi si combinano bene con salse asiatiche e riso. I piatti vegetali «travestiti» sono vincenti proprio perché usano le stesse armi della cucina onnivora per sconfiggerla sul suo stesso terreno. E i puristi che gridano all’imbroglio non si rendono conto che la cucina si evolve da sempre in funzione del momento storico e soprattutto delle risorse disponibili.


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L’alternativa vegetale è viva e cresce insieme a noi

Antonio Cuomo A me che non piace il sushi vincitore concorso TVC 2018

In Italia il mercato dei prodotti vegetali si sta sviluppando a tal punto da essere ormai considerato una minaccia dagli allevatori intensivi, dai produttori di cibi a base di derivati animali e infine anche dall’attuale governo italiano. Il recente rapporto sull’Europa del Good Food Institute, che analizza la produzione di alimenti vegetali proteici, indica che in Italia c’è in effetti una crescita nei consumi delle alternative vegetali ai prodotti animali. Il nostro paese è al terzo posto in Europa per vendite di prodotti a base vegetale, mentre è al settimo in termini di spesa media pro capite. Il mercato italiano di questo «nuovo cibo» nel 2022 valeva 680,9 milioni di euro. Tra il 2020 e il 2022 le vendite sono aumentate del 21%. Al di là delle cifre e i dati statistici è difficile non toccare con mano questo fenomeno. Nei bar il «latte» vegetale non manca mai e così la brioche vegana. Le gelaterie propongono sempre più gelati vegani e anche le pizzerie si stanno adeguando inserendo in lista più pizze con sole verdure e legumi o simil formaggi a base vegetale. Più chiuso di fronte al fenomeno vegetale rimane il settore dei panini, dove gli affettati continuano a dominare la scena. Un discorso a parte merita il settore degli hamburger. La versione vegetale della polpetta è entrata ormai in pianta stabile nei menù delle hamburgherie italiche. Un espediente per riuscire a mettere insieme alla stessa tavola onnivori e veg in uno spazio iconico per chi vuole mangiare carne a basso costo. Che questi hamburger vegetali siano poi buoni, sani e cotti per certo su piastre separate è un’altro paio di maniche. E volendo come sappiamo ci sono ormai anche molti locali dedicati ai soli hamburger vegani. Consistenza giusta, panino morbido, molte salse, qualche boccone simbolico di verdura e patate fritte o anche al forno. Questo tipico prodotto da fast food è di fatto il più semplice da proporre senza carne. La contaminazione vegetale del panino più popolare nelle nostre città è indubbiamente un indicatore sulla variazione dei gusti e delle abitudini dei clienti della ristorazione. E ci indica che ci sono due strade per avvicinare più persone al cibo vegetale.

Foto di Rafał Chudoba da Pixabay

La prima, la più tradizionale è quella di proporre una cucina prettamente vegana con ingredienti chiari e riconoscibili (legumi, ortaggi, cereali) e senza alcun «travestimento». La seconda è quella dell’imitazione o dell’adattamento di cibi onnivori e questo è il caso dell’hamburger, della pizza, delle insalatone o delle bowl e ultimamente anche del sushi. Entrambe le strade stanno trovando il loro pubblico e dunque appare sempre più una partita persa quella di cercare di proibire l’uso di certi termini per definire commercialmente i cibi veg. Il latte vegetale si chiama latte in ogni bar e così avviene per vari termini mutuati dalla cucina tradizionale (tipo polpette, spezzatino, cotoletta, affettato). Se un cliente consapevole s’informa su che tipo di carne o pesce gli arriverà nel piatto difficile che non lo faccia per sapere se mangerà vegetale o animale.
Più complessa è la questione che riguarda la «carne coltivata» definita erroneamente «sintetica» dato che deriva direttamente da cellule animali e non create sinteticamente. Non è un prodotto a base vegetale, questo è certo. Si tratta piuttosto di carne prodotta senza uccidere alcun animale e che quindi dovrebbe incontrare il favore degli allevatori. Succede invece il contrario e il governo italiano ne proibisce la produzione in Italia, che già comunque non produce gran parte della carne che consuma. Così anche la carne coltivata sarà eventualmente importata e consumata in ogni caso se incontrerà i favori dei consumatori, non vegani convinti, ma onnivori etici ed ecologisti.

Latte di soia. Foto di bigfatcat da Pixabay

C’è poi anche l’alternativa proteica degli insetti, con la quale si cerca di dimostrare che gli allevamenti intensivi sono comunque sempre la soluzione. Basterebbe dunque variare la dimensione degli animali allevati e gli spazi da essi occupati per risolvere il problema. In realtà quello degli insetti è un paradosso clamoroso. Da una parte l’agricoltura industriale li distrugge e dall’altra li invoca come nutrimento. Gli insetti sono già un nutrimento in natura, ma non perché ce ne nutriamo direttamente, ma perché sono essenziali per la crescita e la riproduzione dei vegetali che mangiamo. Uno studio pubblicato su Nature ci racconta come l’emergenza climatica e l’abuso di sostanze chimiche in agricoltura stia dimezzando la popolazione di insetti in diverse aree del mondo.
Siamo vittime di fatto di un disorientamento alimentare diffuso e legato in gran parte agli interessi economici dei produttori di cibo. E l’unico antidoto a questa «confusione» è quello di fare delle scelte personali consapevoli e coerenti con la difesa dell’ambiente, i nostri gusti e soprattutto la nostra salute.