The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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L’alternativa vegetale è viva e cresce insieme a noi

Antonio Cuomo A me che non piace il sushi vincitore concorso TVC 2018

In Italia il mercato dei prodotti vegetali si sta sviluppando a tal punto da essere ormai considerato una minaccia dagli allevatori intensivi, dai produttori di cibi a base di derivati animali e infine anche dall’attuale governo italiano. Il recente rapporto sull’Europa del Good Food Institute, che analizza la produzione di alimenti vegetali proteici, indica che in Italia c’è in effetti una crescita nei consumi delle alternative vegetali ai prodotti animali. Il nostro paese è al terzo posto in Europa per vendite di prodotti a base vegetale, mentre è al settimo in termini di spesa media pro capite. Il mercato italiano di questo «nuovo cibo» nel 2022 valeva 680,9 milioni di euro. Tra il 2020 e il 2022 le vendite sono aumentate del 21%. Al di là delle cifre e i dati statistici è difficile non toccare con mano questo fenomeno. Nei bar il «latte» vegetale non manca mai e così la brioche vegana. Le gelaterie propongono sempre più gelati vegani e anche le pizzerie si stanno adeguando inserendo in lista più pizze con sole verdure e legumi o simil formaggi a base vegetale. Più chiuso di fronte al fenomeno vegetale rimane il settore dei panini, dove gli affettati continuano a dominare la scena. Un discorso a parte merita il settore degli hamburger. La versione vegetale della polpetta è entrata ormai in pianta stabile nei menù delle hamburgherie italiche. Un espediente per riuscire a mettere insieme alla stessa tavola onnivori e veg in uno spazio iconico per chi vuole mangiare carne a basso costo. Che questi hamburger vegetali siano poi buoni, sani e cotti per certo su piastre separate è un’altro paio di maniche. E volendo come sappiamo ci sono ormai anche molti locali dedicati ai soli hamburger vegani. Consistenza giusta, panino morbido, molte salse, qualche boccone simbolico di verdura e patate fritte o anche al forno. Questo tipico prodotto da fast food è di fatto il più semplice da proporre senza carne. La contaminazione vegetale del panino più popolare nelle nostre città è indubbiamente un indicatore sulla variazione dei gusti e delle abitudini dei clienti della ristorazione. E ci indica che ci sono due strade per avvicinare più persone al cibo vegetale.

Foto di Rafał Chudoba da Pixabay

La prima, la più tradizionale è quella di proporre una cucina prettamente vegana con ingredienti chiari e riconoscibili (legumi, ortaggi, cereali) e senza alcun «travestimento». La seconda è quella dell’imitazione o dell’adattamento di cibi onnivori e questo è il caso dell’hamburger, della pizza, delle insalatone o delle bowl e ultimamente anche del sushi. Entrambe le strade stanno trovando il loro pubblico e dunque appare sempre più una partita persa quella di cercare di proibire l’uso di certi termini per definire commercialmente i cibi veg. Il latte vegetale si chiama latte in ogni bar e così avviene per vari termini mutuati dalla cucina tradizionale (tipo polpette, spezzatino, cotoletta, affettato). Se un cliente consapevole s’informa su che tipo di carne o pesce gli arriverà nel piatto difficile che non lo faccia per sapere se mangerà vegetale o animale.
Più complessa è la questione che riguarda la «carne coltivata» definita erroneamente «sintetica» dato che deriva direttamente da cellule animali e non create sinteticamente. Non è un prodotto a base vegetale, questo è certo. Si tratta piuttosto di carne prodotta senza uccidere alcun animale e che quindi dovrebbe incontrare il favore degli allevatori. Succede invece il contrario e il governo italiano ne proibisce la produzione in Italia, che già comunque non produce gran parte della carne che consuma. Così anche la carne coltivata sarà eventualmente importata e consumata in ogni caso se incontrerà i favori dei consumatori, non vegani convinti, ma onnivori etici ed ecologisti.

Latte di soia. Foto di bigfatcat da Pixabay

C’è poi anche l’alternativa proteica degli insetti, con la quale si cerca di dimostrare che gli allevamenti intensivi sono comunque sempre la soluzione. Basterebbe dunque variare la dimensione degli animali allevati e gli spazi da essi occupati per risolvere il problema. In realtà quello degli insetti è un paradosso clamoroso. Da una parte l’agricoltura industriale li distrugge e dall’altra li invoca come nutrimento. Gli insetti sono già un nutrimento in natura, ma non perché ce ne nutriamo direttamente, ma perché sono essenziali per la crescita e la riproduzione dei vegetali che mangiamo. Uno studio pubblicato su Nature ci racconta come l’emergenza climatica e l’abuso di sostanze chimiche in agricoltura stia dimezzando la popolazione di insetti in diverse aree del mondo.
Siamo vittime di fatto di un disorientamento alimentare diffuso e legato in gran parte agli interessi economici dei produttori di cibo. E l’unico antidoto a questa «confusione» è quello di fare delle scelte personali consapevoli e coerenti con la difesa dell’ambiente, i nostri gusti e soprattutto la nostra salute.

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Il World Economic Forum ci mette a dieta per salvare il clima

Riprendendo un approfondito articolo di Nature anche il World Economic Forum ammette che per ridurre i cambiamenti climatici serve cambiare le abitudini alimentari e diventare almeno flexitariani. La passività diffusa dei governanti in tutto il mondo di fronte a questo tema è sempre più incomprensibile. La chiara connessione tra ambiente e cibo è misconosciuta. Si preferisce parlare di obesità e malnutrizione che pure sono temi reali, ma non basta. Una giusta tassa sulle bevande gassate piuttosto che la diffusione di generiche linee guida nutrizionali aiutano, ma non vanno alla radice del problema, che è di fatto molto più complesso e riguarda nell’insieme consumi, abitudini, produzione agricola e industriale, politiche economiche. Di seguito la traduzione dell’articolo leggibile qui in originale.

Se sostituissimo hamburger di manzo e sandwich al bacon in favore di alternative vegetariane per gran parte della settimana, potremmo ridurre le emissioni di gas serra di oltre la metà. Così dicono gli scienziati secondo un nuovo studio pubblicato su Nature, che predice come nel 2050, attenendoci tutti a una dieta a base vegetale, con una sola porzione di carne rossa alla settimana, potremmo ridurre le emissioni di gas serra del 56%. Il rapporto ha rilevato che attenersi a una “dieta flessibile” è una delle tre strade possibili per limitare l’impatto del sistema alimentare sui cambiamenti climatici, sulla scarsità di acqua e sull’inquinamento decenni. Le altre due sono: migliorare tecnologie e gestione, ridurre gli sprechi alimentari.

La dieta flessibile suggerita dagli scienziati prevede:

Almeno 500 g al giorno di frutta e verdura di diversi colori e gruppi (composizione determinata dalle preferenze regionali)
Almeno 100 g al giorno di fonti proteiche vegetali (legumi, soia e noci)
Quantità modeste di proteine a base animale, come pollame, pesce, latte e uova
Quantità limitate di carne rossa (una porzione alla settimana), zucchero raffinato (meno del 5% dell’energia totale), oli vegetali ad alto contenuto di grassi saturi (in particolare olio di palma) e cibi amidacei con un indice glicemico relativamente alto.

Secondo la FAO, i gas serra derivanti dal bestiame rappresentano il 15% delle emissioni totali del mondo. Di questi, i bovini (allevati sia per la carne che per il latte) sono i più i maggiori colpevoli, visto che rappresentano il 65% delle emissioni del settore zootecnico. Il mercato globale della carne vale attualmente circa 90 miliardi di dollari, ma ci sta costando molto di più in termini di salute e potrebbe persino ucciderci. Secondo le nuove stime dell’Università di Oxford, entro il 2020 il consumo di carne rossa e trasformata sarà responsabile di 2,4 milioni di morti e 285 miliardi di dollari in costi relativi all’assistenza sanitaria. Se fossero introdotte tasse sulle carni lavorate, secondo i ricercatori il consumo scenderebbe di circa due porzioni alla settimana nei paesi ad alto reddito e del 16% a livello globale.

David Yeung

David Yeung, co-fondatore e CEO di Green Monday e uno degli imprenditori sociali del World Economic Forum 2018 è dietro un’ondata di persone che hanno scelto di mangiare meno carne. Da quando ha lanciato la sua impresa sociale a Hong Kong nel 2012, oltre 1,6 milioni di persone hanno adottato una dieta flessibile almeno un giorno alla settimana per migliorare la propria salute e ridurre la propria impronta di carbonio. Nel novembre 2018, Yeung e il suo team hanno lanciato il Green Monday a Singapore, con l’intenzione di estenderlo ad altri paesi nel Sud-est asiatico l’anno prossimo. «Flexitarianism, reducetarianism o Green Monday è la stessa idea», dice Yeung.«È importante sostenere le persone che provano una dieta vegetale anche solo per un pasto alla settimana». L’industria dei sostituti della carne è un grande business. A livello globale, se ne prevede una crescita fino a un valore di circa 5,8 miliardi di dollari entro il 2020, (4,3 miliardi di dollari nel 2018). Yeung gestisce la catena di caffetterie Green Common e ha creato un menu di ispirazione vegetariana che viene utilizzato in 2.000 scuole e mense aziendali in oltre 30 paesi, compresa la sua Columbia University. È convinto che l’adozione di modelli alimentari più sani richiederà tempo e spiega: «Una volta che la porta si schiuderà davanti a loro e avranno sperimentato da soli il lato verde dell’universo culinario seguendo un loro ritmo saliranno al livello successivo della nutrizione a base vegetale. È come correre una maratona. Nessuno che non ha mai corso può all’improvviso completare un’intera maratona. S’inizia prima con 10 km e poi con mezza maratona». Yeung mette anche in guardia contro la tendenza a esercitare un’eccessiva pressione sulle persone per indurle a rinunciare del tutto alla carne e afferma: «Se adottiamo la filosofia del tutto o niente la maggior parte delle persone potrebbe semplicemente decidere di rinunciare lasciandosi andare alla propria inerzia o conformandosi al proprio ambiente sociale o famigliare».