The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Vegetali a Identità Golose: si può dire di più

Sauro Ricci e Raffaele Minghini del Joia sul palco di Identità Vegetali

Una fogliolina verde nel menu accanto alle proposte. Sempre più ristoratori la usano per attirare l’attenzione su piatti a base vegetale del loro menu. È il segnale di un progressivo cambiamento di abitudini nei consumatori e nei cuochi, oggi più sensibili al valore della materia prima vegetale. Al Congresso di Identità Golose (22/24 febbraio Milano), giunto alla sua ventesima edizione, questa tendenza si è percepita con difficoltà e le Identità Future non possono prescindere da un’incidenza crescente della cucina vegetale anche a livello alto. Tre soli partecipanti alla sezione Identità vegetali e uno in sala grande. Troppo poco. Ci vuole più coraggio. È mancato l’accento ambientale e salutare nel messaggio vegetale, che in alcuni interventi è stato pure male interpretato come nel caso dei cuochi Davide Guidara (Sala grande) e Irina Stancanella spostata da Identità di Pizza e Identità Vegetali. Il primo ha inserito tra gli ingredienti del suo piatto i mono e digliceridi degli acidi grassi, un additivo (E471) dannoso per la salute, la seconda ha evidenziato una scarsa sensibilità verso le farine delle sue pizze quando proprio sulle farine integrali e multicereali si concentrano sempre più i nuovi cuochi pizzaioli consci della necessità di elaborare pizze più digeribili e salutari. Nell’approccio alla cucina vegetale nel mondo della ristorazione regna ancora molta confusione e poca coerenza. Salute, nutrimento, rispetto per l’ambiente, gusto sono principi irrinunciabili per ogni buona e corretta cucina vegetale, che dev’essere necessariamente anche gusto.

La Natura in questo è maestra sublime di Raffaele Minghini e Sauro Ricci

Di questo hanno parlato nello spazio Identità Vegetali Sauro Ricci e Raffaele Minghini, i continuatori di Pietro Leemann al Joia di Milano. Gli obiettivi di un ristorante sono insieme alimentazione e ristorazione, ha spiegato Ricci, che ha raccontato come al Joia si fa filosofia, non nel senso astratto del termine, ma come piattaforma per la conoscenza del cibo. E al Joia il messaggio arriva ai commensali non solo attraverso il palato, ma anche attraverso i nomi dei piatti che sono vere e proprie suggestioni: «ombelico del mondo», «quel sole tiepido d’inverno», «un indovino mi disse».

Vulcano dorato: una tatin di mele geometrica e colorata

Tra in principi guida del Joia c’è anche la riconoscenza, che secondo Ricci e Minghini, si deve ai maestri, alla famiglia e agli ospiti. Una nota personale è stata aggiunta da Raffaele Minghini, che ha raccontato come dal suo arrivo al Joia 13 anni fa si senta sempre più appagato dalla comprensione della potenzialità dei prodotti vegetali«Il cibo parla di noi, di cosa siamo e di cosa possiamo diventare. Perché il cibo nutre su più livelli ed è importante sceglierlo in maniera adeguata» hanno ribadito i due chef presentando due piatti: La Natura in questo è maestra sublime e Il vulcano dorato. Il primo è consistito in foglie croccanti invernali appoggiate su un patè di edamame e accompagnate da un tempeh arrostito e un salsa saor a base di scalogno. Tra le verdure spiccano le puntarelle posizionate in rampa di lancio verso l’alto in contrapposizione alle radici che guardano alla profondità: riflessioni sul futuro da sviluppare. Il secondo è stato una concessione alla gola: una tatin di mele in millefoglie e ben caramellata, frolla di mais, salsa ai frutti di bosco e crema speziata alla vaniglia. Mele fragranti vengono lamellate e cotte in millefoglie per formare una mattonella poi glassata al caramello e adagiata su un biscotto e una salsa ai frutti di bosco.

Il mio giardino di Caterina Ceraudo

Un’altra protagonista di spicco dello spazio Identità Vegetali è stata Caterina Ceraudo del ristorante (non vegetariano) Dattilo di Strongoli (Crotone). Ha posto l’accento sulla biodiversità della Calabria e sugli insegnamenti ricevuti dal padre agricoltore biologico. Tra i suoi principi irrinunciabili ci sono quello di conoscere sempre la provenienza della materia prima e di trasformare gli scarti in preparazioni. Il suo credo è una cucina di stagione salutare basata su prodotti locali e innovativa nella proposta. Per questo nel suo ristorante, una stella Michelin, propone un menu specifico per ogni stagione. Sul palco di Identità Vegetali ha presentato Il Mio Giardino e Il Risotto con cavolfiore e nocciole. Il primo era costituito da una varietà di brassicacee trattate ciascuna in modo di diverso. Così il broccolo è diventato un gelato, il cavolo cappuccio è stato trasformato in parte in estratto e in parte condito in carpione con aceto e cipolle, il cavolo nero e la verza hanno subito due diverse marinature, il cavolo cinese verde è stato lavorato con olio affumicato e timo. Il risultato è un piatto colorato dai molteplici sapori delicati e dalle diverse consistenze. Da apprezzare la capacità della cuoca calabrese nel riuscire a valorizzare verdure, non sempre popolari a causa del loro aroma e gusto invadenti e della loro consistenza a volte coriacea. Con il risotto Caterina Ceraudo ha un po’ sconfinato al nord usando Carnaroli invecchiato, brodo di cavolfiore e crema di nocciole per mantecare. Tre soli ingredienti per un risotto dal gusto intenso anche senza formaggio o brodo di carne. Speriamo che qualche chef milanese abbia preso nota. 

Caterina Ceraudo in azione nel suo orto in Calabria. http://www.instagram.com/p/CrLOfXXt4tr/

Sul palco centrale Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi coadiuvate da Caterina Perazzi, tutte di scuola Pietro Leemann, hanno raccontato la loro avventura con la loro creatura Al Tatto, un’oasi di alta cucina vegetariana nel quartiere Greco di Milano.

Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi di Al Tatto, Milano

Il progetto partito inizialmente come catering, da qualche anno, è diventato un ristorante dove si viene per vivere un’esperienza e anche un po’ giocare. La cucina è vegetariana (vegana su richiesta) e si distingue per la cura nella presentazione e l’accostamento delicato dei sapori. Anche per queste cuoche il territorio è molto importante e ultimamente la loro area di elezione è diventata la Valtellina definita «un luogo dell’anima» e dove hanno trovato nuovi amici produttori. A Identità Golose hanno presentato per primo Tarè, una rappresentazione del suolo dopo il disgelo a base di orzo, che in Valtellina le famiglie mangiano tutte insieme da una grande ciotola in pietra con un cucchiaio in legno. Nel piatto arriva prima la terra che consiste in polvere di salvia, aglio alla brace, glassa di mele selvatiche, riduzione di aceto e foglie di cavolini di Bruxelles. Sopra questa “terra” viene successivamente appoggiato un orzotto mantecato con burro e parmigiano. Da notare che per far vivere ai commensali un’esperienza valtellinese completa, bicchieri e recipienti sono stati realizzati da artigiani locali su progetto della designer Maddalena Salvini.

Tarè valtellinese di Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi

Suggestivo il secondo piatto “fungo alla pechinese” dove la tradizionale anatra è stata sostituita da un fungo abbrustolito senza rinunciare alle caratteristiche crepes e il ripieno di verdure. I commensali vengono invitati a toccare  e completare il loro piatto nello stile tipico di questo ristorante tattile.

Fungo alla pechinese da comporre in tavola alla maniera di Al Tatto


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Al congresso di Identità Golose 2024 una chance ai vegetali

Antonia Klugmann sul palco centrale di Identità Golose

Un piatto a base vegetale è stato quest’anno il simbolo di Identità Golose 2024. Una vera e propria «disobbedienza» alla storia di questo congresso dove i prodotti animali sono da sempre predominanti e che quest’anno ha scelto appunto come tema: Non esiste innovazione senza disobbedienza.

Il piatto vegetariano simbolo di Identità Golose 2024 firmato da Antonia Klugmann

A elaborare questo piatto «Ravioli alle erbe e rapa bianca» è stata Antonia Klugmann, una chef che ha partecipato a due edizioni di The Vegetarian Chance, la prima in veste di concorrente nel 2014 al ristorante Joia con Pietro Leemann. E la seconda nel 2017 in veste di giurata. Klugmann pur non essendo una chef vegetariana non ha mai nascosto il suo interesse per l’ambiente anche in cucina dove ha sempre dato molto spazio ai prodotti vegetali. «Questo piatto è rappresentativo del mio percorso decennale e con esso ho voluto esprimere il mio amore per le erbe. Il ripieno è composto da purea di acqua e mandorle neutre, non amare, una rucola rara, prezzemolo del nostro orto, foglie di rapa navone e di cima di rapa da taglio. Erbe molto specifiche, figlie della stessa stagionalità». Il percorso decennale del quale parla Klugmann era iniziato nel 2014 proprio quando partecipò alla prima edizione del concorso The Vegetarian Chance al ristorante Joia con i concorrenti coordinati da Sauro Ricci. In quell’occasione la giuria, presieduta da Pietro Leemann e che comprendeva anche Gualtiero Marchesi, si classificò terza con la menzione speciale «Cucina vegetariana del futuro». I piatti che presentò allora furono: «Spinacino selvatico, piantaggine, rose e carcadè» e «Il fiore della zucchina affumicato e la nostra senape».

Antonia Klugmann “Spinacino selvatico” presentato nel 2014 alla prima edizione di The Vegetarian Chance dove si classificò terza

Le erbe erano già l’asso nella manica della chef. In entrambi i piatti si potevano avvertire sapori intensi, ma equilibrati così da non coprirsi a vicenda. Nei piatti ogni ingrediente aveva conservato perfettamente il suo aspetto naturale pur essendo stato cucinato e arricchito di sapori. Il 28 maggio 2017 Antonia Klugmann fece parte della giuria della quarta edizione del concorso The Vegetarian Chance presieduta come sempre da Pietro Leemann. Con i suoi voti contribuì a premiare l’olandese Gijs Kemmeren e il peruviano Rafael Rodriguez, secondo classificato.

Antonia Klugmann con il professor Stefano Bocchi a TVC 2017 in giuria

Lo spazio dedicato alla sezione Identità Vegetali è stato quest’anno piuttosto ampio e la motivazione è stata ben spiegata da Carlo Passera durante l’apertura. «Sono nati nuovi chef che valorizzano la materia prima vegetale. Fanno una scelta di buon gusto e una scelta oggettiva al palato», ha detto. Passera, che è stato uno dei giudici all’ultima edizione di The Vegetarian Chance il 13 ottobre 2019 a Torino. Il suo pensiero ricalca in parte quello che è stato l’obiettivo di The Vegetarian Chance sin dalla sua nascita e cioè quello di dimostrare come la cucina a base vegetale possa raggiungere grandi livelli di gusto e qualità. A differenza però dell’approccio strettamente gastronomico di Identità Golose noi di TVC abbiamo sempre pensato che la qualità del cibo vegetale risieda anche nell’etica dei prodotti che si usano e nel pensiero che c’è dietro ogni ricetta.
Il primo a salire sul palco di Identità Vegetali è stato lo chef Davide Caranchini del ristorante Materia di Cernobbio, dove c’è disponibile il menù vegetariano Green Power al costo di 100 euro. Ha presentato Cetriolo alla scapece, una ricetta molto complessa che prevede un uso completo di tutte le parti della materia prima buccia compresa. A impreziosirlo un’aggiunta di un inedito «caviale di terra» ricavato dalla pianta asiatica bassia scoparia.

Davide Caranchini sul palco di Identità Vegetali

A seguire altri piatti molto pensati come una «burrata» ottenuta da pinoli e crema di pinolo, un risotto mantecato a freddo con «burro di olive» e insaporito con estrazione di semi coriandolo. E a chiudere spazio alla «banale» carota, disidratata, reidratata in succo fermentato di carote e accoppiata a una base di purea di semi di zucca e miso, una senape con erbe e mele e una vinaigrette di carote e agrumi.
«Orto libera tutti» è il progetto sociale presentato da Francesco Vincenzi della Franceschetta di Modena. Un orto biologico in un carcere che rifornisce di materia prima il ristorante. La sostenibilità umana si associa a quella della natura. Particolarmente interessante è la sua Patata Arrosto, un piatto composto a base di gnocchi di patate, salsa di patate emulsionata con olio all’aglio e rosmarino, fondo di buccia di patate e patatine arrosto. Solo patate eppure sapori e consistenze diverse. Sul palco è poi salito Ariel Hagen del ristorante Saporium di Borgo san Pietro, dove un ristorante vive connesso con un’azienda agricola impostata sull’agricoltura rigenerativa. Rigenerativo per il nostro organismo è anche il Fermentation Lab, dove si elaborano cibi salutari per l’intestino. Proprio da questo laboratorio Hagen ha proposto in assaggio un delicato kombucha al mandarino e zafferano.

Ariel Hagen durante la preparazione di un piatto a Identità Vegetali

Il pugliese Michele Cobuzzi del ristorante Anima dell’hotel Milano Verticale ci ha insegnato che non di solo pomodoro e mozzarella vive il panzerotto. Cobuzzi si è talmente milanesizzato che ha riempito il panzerotto di verza brasata. In una vera sfida è consistito il suo secondo piatto: una scarola lavorata come un arrosto, legata con uno spago, condita e cotta sulla brace.
Per arricchirne il sapore Cobuzzi ha ideato prima un fondo di verdure, susine, aglio, zenzero ed erbe aromatiche, e poi un condimento a base di olio al levistico, crumble di arachidi, foglia di radicchio e timo.
A chiudere la giornata dedicata ai vegetali ci ha pensato la prestigiosa Enoteca Pinchiorri che propone già da diversi anni un menù degustazione vegetariano: Madre Terra.
Sul palco a illustrare il menù ci hanno pensato Riccardo Monco e Alessandro Della Tommasina, che hanno poi messo in assaggio un piatto di lumachine di pasta finite di cuocere in succo di rabarbaro fresco e poi servite con un gelato di cavolo rosso e gocce di olio di pino marittimo. La mantecatura fredda da fare direttamente nel piatto ha reso al palato un piatto fresco, profumato e anche goloso.

Alessandro Della Tommasina di Enoteca Pichiorri sul palco di Identità Vegetali

L’abbinamento pensato dallo sponsor Velier per questo piatto è stato un Dry Martini combinato con Engine, un gin biologico piemontese e Vermouth Vergano. Note balsamiche nel piatto e botaniche nel bicchiere ben combinate. Angelo Canessa aveva già stupito in apertura quando alla carota di Caranchini aveva abbinato un succo di mela fortificato prodotto dalla Maison Drouin in Normandia. Alcolico al 17% lascia partire un aroma molto intenso grazie all’invecchiamento e alla qualità delle mele utilizzate, non commestibili da crude, ma adatte per la confezione di una sorta di sidro di alto livello.

Angelo Canessa propone a Identità Vegetali gli abbinamenti ai piatti di Velier

Innovativo e “disobbediente” come suggerisce il tema del congresso è il consiglio di Canessa sulla degustazione di superalcolici preziosi e costosi: a volte ne basta un cucchiaio, ha detto, per goderne appieno le qualità aromatiche e organolettiche. Non si rischia la patente e nemmeno il portafoglio.