
Sauro Ricci e Raffaele Minghini del Joia sul palco di Identità Vegetali
Una fogliolina verde nel menu accanto alle proposte. Sempre più ristoratori la usano per attirare l’attenzione su piatti a base vegetale del loro menu. È il segnale di un progressivo cambiamento di abitudini nei consumatori e nei cuochi, oggi più sensibili al valore della materia prima vegetale. Al Congresso di Identità Golose (22/24 febbraio Milano), giunto alla sua ventesima edizione, questa tendenza si è percepita con difficoltà e le Identità Future non possono prescindere da un’incidenza crescente della cucina vegetale anche a livello alto. Tre soli partecipanti alla sezione Identità vegetali e uno in sala grande. Troppo poco. Ci vuole più coraggio. È mancato l’accento ambientale e salutare nel messaggio vegetale, che in alcuni interventi è stato pure male interpretato come nel caso dei cuochi Davide Guidara (Sala grande) e Irina Stancanella spostata da Identità di Pizza e Identità Vegetali. Il primo ha inserito tra gli ingredienti del suo piatto i mono e digliceridi degli acidi grassi, un additivo (E471) dannoso per la salute, la seconda ha evidenziato una scarsa sensibilità verso le farine delle sue pizze quando proprio sulle farine integrali e multicereali si concentrano sempre più i nuovi cuochi pizzaioli consci della necessità di elaborare pizze più digeribili e salutari. Nell’approccio alla cucina vegetale nel mondo della ristorazione regna ancora molta confusione e poca coerenza. Salute, nutrimento, rispetto per l’ambiente, gusto sono principi irrinunciabili per ogni buona e corretta cucina vegetale, che dev’essere necessariamente anche gusto.

La Natura in questo è maestra sublime di Raffaele Minghini e Sauro Ricci
Di questo hanno parlato nello spazio Identità Vegetali Sauro Ricci e Raffaele Minghini, i continuatori di Pietro Leemann al Joia di Milano. Gli obiettivi di un ristorante sono insieme alimentazione e ristorazione, ha spiegato Ricci, che ha raccontato come al Joia si fa filosofia, non nel senso astratto del termine, ma come piattaforma per la conoscenza del cibo. E al Joia il messaggio arriva ai commensali non solo attraverso il palato, ma anche attraverso i nomi dei piatti che sono vere e proprie suggestioni: «ombelico del mondo», «quel sole tiepido d’inverno», «un indovino mi disse».

Vulcano dorato: una tatin di mele geometrica e colorata
Tra in principi guida del Joia c’è anche la riconoscenza, che secondo Ricci e Minghini, si deve ai maestri, alla famiglia e agli ospiti. Una nota personale è stata aggiunta da Raffaele Minghini, che ha raccontato come dal suo arrivo al Joia 13 anni fa si senta sempre più appagato dalla comprensione della potenzialità dei prodotti vegetali. «Il cibo parla di noi, di cosa siamo e di cosa possiamo diventare. Perché il cibo nutre su più livelli ed è importante sceglierlo in maniera adeguata» hanno ribadito i due chef presentando due piatti: La Natura in questo è maestra sublime e Il vulcano dorato. Il primo è consistito in foglie croccanti invernali appoggiate su un patè di edamame e accompagnate da un tempeh arrostito e un salsa saor a base di scalogno. Tra le verdure spiccano le puntarelle posizionate in rampa di lancio verso l’alto in contrapposizione alle radici che guardano alla profondità: riflessioni sul futuro da sviluppare. Il secondo è stato una concessione alla gola: una tatin di mele in millefoglie e ben caramellata, frolla di mais, salsa ai frutti di bosco e crema speziata alla vaniglia. Mele fragranti vengono lamellate e cotte in millefoglie per formare una mattonella poi glassata al caramello e adagiata su un biscotto e una salsa ai frutti di bosco.

Il mio giardino di Caterina Ceraudo
Un’altra protagonista di spicco dello spazio Identità Vegetali è stata Caterina Ceraudo del ristorante (non vegetariano) Dattilo di Strongoli (Crotone). Ha posto l’accento sulla biodiversità della Calabria e sugli insegnamenti ricevuti dal padre agricoltore biologico. Tra i suoi principi irrinunciabili ci sono quello di conoscere sempre la provenienza della materia prima e di trasformare gli scarti in preparazioni. Il suo credo è una cucina di stagione salutare basata su prodotti locali e innovativa nella proposta. Per questo nel suo ristorante, una stella Michelin, propone un menu specifico per ogni stagione. Sul palco di Identità Vegetali ha presentato Il Mio Giardino e Il Risotto con cavolfiore e nocciole. Il primo era costituito da una varietà di brassicacee trattate ciascuna in modo di diverso. Così il broccolo è diventato un gelato, il cavolo cappuccio è stato trasformato in parte in estratto e in parte condito in carpione con aceto e cipolle, il cavolo nero e la verza hanno subito due diverse marinature, il cavolo cinese verde è stato lavorato con olio affumicato e timo. Il risultato è un piatto colorato dai molteplici sapori delicati e dalle diverse consistenze. Da apprezzare la capacità della cuoca calabrese nel riuscire a valorizzare verdure, non sempre popolari a causa del loro aroma e gusto invadenti e della loro consistenza a volte coriacea. Con il risotto Caterina Ceraudo ha un po’ sconfinato al nord usando Carnaroli invecchiato, brodo di cavolfiore e crema di nocciole per mantecare. Tre soli ingredienti per un risotto dal gusto intenso anche senza formaggio o brodo di carne. Speriamo che qualche chef milanese abbia preso nota.

Caterina Ceraudo in azione nel suo orto in Calabria. http://www.instagram.com/p/CrLOfXXt4tr/
Sul palco centrale Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi coadiuvate da Caterina Perazzi, tutte di scuola Pietro Leemann, hanno raccontato la loro avventura con la loro creatura Al Tatto, un’oasi di alta cucina vegetariana nel quartiere Greco di Milano.

Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi di Al Tatto, Milano
Il progetto partito inizialmente come catering, da qualche anno, è diventato un ristorante dove si viene per vivere un’esperienza e anche un po’ giocare. La cucina è vegetariana (vegana su richiesta) e si distingue per la cura nella presentazione e l’accostamento delicato dei sapori. Anche per queste cuoche il territorio è molto importante e ultimamente la loro area di elezione è diventata la Valtellina definita «un luogo dell’anima» e dove hanno trovato nuovi amici produttori. A Identità Golose hanno presentato per primo Tarè, una rappresentazione del suolo dopo il disgelo a base di orzo, che in Valtellina le famiglie mangiano tutte insieme da una grande ciotola in pietra con un cucchiaio in legno. Nel piatto arriva prima la terra che consiste in polvere di salvia, aglio alla brace, glassa di mele selvatiche, riduzione di aceto e foglie di cavolini di Bruxelles. Sopra questa “terra” viene successivamente appoggiato un orzotto mantecato con burro e parmigiano. Da notare che per far vivere ai commensali un’esperienza valtellinese completa, bicchieri e recipienti sono stati realizzati da artigiani locali su progetto della designer Maddalena Salvini.

Tarè valtellinese di Cinzia De Lauri e Sara Nicolosi
Suggestivo il secondo piatto “fungo alla pechinese” dove la tradizionale anatra è stata sostituita da un fungo abbrustolito senza rinunciare alle caratteristiche crepes e il ripieno di verdure. I commensali vengono invitati a toccare e completare il loro piatto nello stile tipico di questo ristorante tattile.

Fungo alla pechinese da comporre in tavola alla maniera di Al Tatto









