Il carbonio, che noi conosciamo poco, è al centro della nostra vita nel bene e nel male. Lo ha ben raccontato il film franco-canadese-australiano Carbon – The Unauthorised Biography di Daniela Ortega & Niobe Thompson, che ha vinto il primo premio del Festival. «Un soggetto difficile reso comprensibile a tutti», ha motivato la giuria. E in effetti da Carbon apprendiamo senza mezzi termini che è questa sostanza la fonte della nostra esistenza, ma può essere anche la causa della nostra distruzione. Il carbonio è abile a camuffarsi in migliaia di composti diversi (vedi i diamanti), si lega con tutto e si autoriproduce. È energia solare che si accumula nel terreno, nelle piante, nel carbone, nel petrolio originato da antichissima vita marina. Ogni volta che bruciamo combustibili fossili liberiamo carbonio nell’atmosfera. Un presenza troppo marcata di questa sostanza aumenta l’effetto serra, che fino ad oggi è stato come una coperta calda che ha protetto il nostro pianeta, ma che in futuro ci può riscaldare a tal punto da rendere il pianeta invivibile per gli esseri umani. Il documentario in sintesi ci pone di fronte al dilemma del carbonio: non possiamo vivere senza, ma troppo ci fa male e ci illude.

A thousand fires
Che una sostanza naturale ci possa fra diventare ricchi è un antico credo. E in effetti dopo l’oro il petrolio è in molti casi riuscito in questo scopo facendo le fortune di molti paesi. Per questo in Myanmar poveri contadini pensano che poco petrolio estratto a mani nude valga più di qualunque prodotto agricolo. Ad affrontare questa storia ha pensato il regista del regista palestinese-britannico Saeed Taji Farouky con A Thousand fires. In Myanmar i coniugi Htwe Tin e Thein Shwe hanno abbandonato l’agricoltura per dedicarsi alla più redditizia estrazione del petrolio da un pozzo scavato nel terreno intorno alla loro casa. Il fenomeno dei giacimenti “artigianali” è diffuso nella regione di Magway. Ma la ricchezza resta un miraggio tanto che il figlio più grande sogna di diventare calciatore. E intanto la coppia si avvelena tutti i giorni cercando nell’acqua l’alleata purificatrice dai grassi dell’oro nero. Dell’inseguimento al denaro, che ci coinvolge tutti, tratta anche l’americano Hot money di Susan Kucera, che ha un protagonista inatteso nell’ex-comandante supremo della NATO Wesley Clark (guerra del Kosovo) e nel figlio Wes Clark jr., attivista e ambientalista. Il loro viaggio nell’attuale sistema finanziario in compagnia di esperti accademici ci mette di fronte al valore distorto che diamo alle cose.

Hot Money
Il cibo è dato per scontato mentre non lo è affatto. E se avremo fame non ci potremo mangiare la tv o il computer. Sono ormai 19 anni che siamo indotti a uno shopping compulsivo come segno di benessere, mentre non facciamo che inquinare. Le economie hanno bisogno oggi di 3$ di debito per produrre 1$ di PIL. Una crescita «infinita» basata su risorse finite. I due Clark si dicono certi che la Natura eroderà dalle fondamenta la nostra economia e la metterà in crisi. Mancherà presto l’acqua (già oggi succede), che serve anche a produrre energia. Abbiamo bisogno di energie rinnovabili e agricoltura rigenerativa per riportare la CO2 dal cielo alla terra e garantire la nostra sopravvivenza.
Accanto alle emergenze del clima e dell’inquinamento non è da sottovalutare anche quella delle allergie sempre in crescita e alle quali finché non sono gravi facciamo poco caso. Eppure possono essere mortali come illustra il francese Allergy Alert di Cosima Dannoritzer. Gli stravolgimenti ambientali sono all’origine della crescita dei casi di allergia. Ormai ogni ristorante chiede ai propri clienti in indicare le proprie allergie. Il fenomeno deriva dai detergenti chimici che usiamo nelle nostre case. Il detersivo della lavapiatti, per esempio, non scompare dopo il risciacquo, ma rimane in parte nella stoviglia e noi ingeriamo enzimi, tensioattivi, conservanti, profumazioni e colorazioni. Gli spazi verdi delle città sono progettati senza tener conto delle allergie provocate dai pollini.

Allergy alert
Si scelgono alberi solo impollinatori evitando quelli destinatari del polline, che così rimane nell’aria invece di essere assorbito. La fioritura dura più tempo del previsto a causa di stagioni irregolari, dove anche i temporali possono avere effetti negativi nel diffondere allergeni. Ma il documentario riserva una sorpresa sulla nutrizione dei bambini più piccoli. È diffusa la convinzione che durante lo svezzamento vadano evitati alimenti allergenici mentre sembra che la verità sia esattamente il contrario. Proprio per evitare allergie durante la crescita i bambini si dovrebbero abituare a tutti gli alimenti senza distinzioni. E anche un contatto più stretto con la natura a contatto con gli animali sarebbe in grado di prevenire ed evitare allergie. Tutto dimostrato da studi ed esperienze sul campo raccontate nel documentario.
In mezzo a tutte queste informazioni piuttosto catastrofiche sul mondo che abbiamo costruito e che credevamo e, in fondo, crediamo molto confortevole ci sono casi particolari di donne e uomini, che decidono di provare a invertire la tendenza. E’ il caso della famiglia protagonista di First we eat, diretto dalla canadese Suzanne Crocker. Due genitori decidono di mettere alla prova sé stessi, un figlio e due figlie. per un anno bandiscono dalla loro casa tutti i cibi del supermercato nutrendosi solo di cibo pescato, cacciato, raccolto nella natura selvaggia o coltivato. Il problema è che questa intrepida famiglia vive nel selvaggio Yukon a soli 300 km dal Circolo Polare Artico. E qui le condizioni climatiche non sono tra più favorevoli alla produzione di cibo vario e appetitoso. Mancano il sale, i grassi, lo zucchero, tre elementi che ogni giorno danno gusto e piacevolezza al nostro cibo abituale. L’inizio è davvero difficile anche perché ai genitori mancano le conoscenze culinarie. Le apprendono strada facendo e piano piano il cibo riesce a diventare più appetitoso. Quando dal forno sbuca una torta sembra quasi un miracolo. E l’interminabile anno trascorre con la famiglia in salute, un po’ più snella e soprattutto più consapevole del valore del cibo.

Il seme del futuro
E nel nostro paese cosa succede? Ci converrebbe uscire ogni tanto dalle nostre aree di conforto (casa, ufficio, locali pubblici) per saperne di più. Lo ha fatto lo scienziato Giorgio Vacchiano, esperto di gestione forestale, che lascia l’università per tornare nei boschi della sua infanzia in Valle d’Aosta, dove gli effetti negativi dell’emergenza climatica sono più devastanti. Il suo viaggio è raccontato le documentario di Francesca Frigo, Il seme del futuro. Passo dopo passo Vacchiano ci coinvolge nel progetto di recupero e prevenzione che elabora con altri ricercatori e scienziati. Elaborano una strategia per prevenire gli incendi, favorire la continua rigenerazione della foresta, consentire agli alberi di assolvere alla loro funzione di assorbire anidride carbonica e preservare la biodiversità. Esseri umani e alberi uniti in unico destino.