
Un pastore kenyota nel film The battle for Laikipia
Postumi del colonialismo, emergenza climatica, aumento incontrollato della popolazione, incapacità umana di solidarizzare. Ci sono tutti questi temi in The battle for Laikipia (Kenya/Usa 2023), il documentario che ha vinto il premio Asja della sezione internazionale al Festival CinemAmbiente di Torino (4-9 giugno Cinema Massimo). Gli autori, Daphne Matziaraki e Peter Murimi hanno affrontato una vicenda delicata raccontando i drammi di uni e degli altri. Discendenti di coloni bianchi, allevatori, difendono il loro terreni dai pastori indigeni, che a causa della siccità non trovano pascolo e acqua per il loro bestiame. E qui si trovano a confronto non solo bianchi e neri, ma anche due modi diversi di produrre cibo di origine animale: la pastorizia e l’allevamento industriale. Si potrebbe magari fare a meno in assoluto di allevamenti per sostituirli con coltivazioni di vegetali, ma l’ipotesi non affiora nel filmato. Certo i vegetali sarebbero più pacifici e faciliterebbero una convivenza. D’altra il conflitto deriva da una penuria di risorse (acqua e pascoli) troppo sfruttate e in diminuzione a causa dell’emergenza climatica. Questo documentario come altri presentati al Festival ci vuol dire come nel mondo le comunità di esseri umani spesso non collegano la propria realtà a quella del pianeta nella sua interezza. Molto diretti nel raccontarci il meccanismo perverso delle interconnessioni climatiche sono l’entomologo tedesco Ulf Drechsel e l’ornitologo paraguaiano Jota Escobar protagonisti di Los Ultimos, sezione concorso. Insieme compiono un viaggio nella regione naturale del Grand Choco in Paraguay per rendersi conto di persona della grave deforestazione in atto. Il regista, Sebastian Escobar non ci risparmia scene apocalittiche e riflessioni amare dei suoi due amici sull’incontrollata società dei consumi. La natura violentata è qui una buona padrona di casa.

l’entomologo tedesco Ulf Drechsel e l’ornitologo paraguaiano Jota Escobar in Los Ultimos
Più vendicativa si mostra invece nel documentario in concorso The Here Now Project di Greg Jacobs e Jon Siegel, che ci mettono di fronte ai drammi di essere umani di tutto il mondo alle prese con uragani, incendi e allagamenti. Lo fanno con uno studiato collage di immagini pubblicate sui social network da vittime delle catastrofi naturali. Anche nei momenti più drammatici non manca chi ha la forza di prendere in mano il suo smartphone e urlare il suo dramma personale. Impossibile rimanere indifferenti di fronte a bibliche invasioni di cavallette, nevicate improvvise e insopportabili ondate di calore.

Una scena apocalittica di The Here Now Project
E a chi forse ha l’impressione che lo sfruttamento delle risorse naturali sia un fenomeno relativamente recente conviene guardare due importanti documentari a carattere storico. Il primo è il restaurato Amazonas, maior rio do mundo del 1921, che ha inaugurato il Festival e che segnala come la deforestazione dell’Amazzonia sia iniziata oltre un secolo fa per produrre una grande quantità di legname.

In Amazzonia nel 1921. Rare immagini recuperate dall’oblio
Il secondo, il canadese Nuked, si riferisce invece agli esperimenti nucleari americani sull’atollo di Bikini nelle isole Marshall. Abitanti indigeni furono sfollati dai loro villaggi dalla sera alla mattina senza capire il perché e aprendo in loro una ferita che dopo quattro generazioni non si è ancora rimarginata.
Riparare i danni del passato e non commetterne di nuovi è l’arduo compito che richiede un patto intergenerazionale come quello narrato dal film ceco/slovacco The World according to My dad. Jiri Svoboda, fisico e ingegnere ceco propone da diversi anni senza successo ai governanti del mondo di istituire una tassa mondiale sulle emissioni di carbonio. Con questi soldi pagati da tutti si potrebbero finanziare progetti contro l’inquinamento soprattutto nei paesi più poveri. Un progetto utopistico di solidarietà umana, che la figlia di Svoboda, Marta Kovarova artista, ha deciso di sostenere girando un documentario sulle battaglie del padre. Si parte dalla cucina di casa, dove non si spreca nulla dall’acqua al cibo fino ad arrivare ai forum mondiali sul clima. I due protagonisti sono venuti a Torino e hanno dialogato col pubblico. Chi voleva porre una domanda doveva stringere tra le mani un globo terrestre portato da Svoboda.

Jiri Svoboda e sua figlia Marta Kovarova a un summit per proporre come salvare il pianeta nel film The world according to my dad
Lottano per difendere la foresta i giovani finlandesi Ida, Minka, Ville, Otto e Eerick. Nel loro paese gli alberi sono solo una risorsa economica, non una risorsa ambientale, non una fonte di salute. Ne parla l’opera finlandese Once upon a time in a forest di Virpi Suutari menzione speciale della giuria. Lo stile è quello di una fiaba, ma senza un lieto fine, almeno per ora, ma è significativo il sostegno che i giovani ricevono dai loro famigliari. Un passaggio di testimone generazionale. Le ragazze e i ragazzi hanno ben compreso che serve una presenza ossessiva sul posto e seguono una strategia di disturbo molto efficace. Il documentario mette a nudo il conflitto tra gli interessi dell’industria forestale e la protezione della natura. Viene sfatato una volta di più il mito che senza sfruttamento delle risorse naturali non si produrrebbero lavoro e benessere.
Tra i cortometraggi in concorso da segnalare l’ultima opera della artista fotografa ambientalista Anne de Carbuccia, che ha anche una sua sede a Milano dotata di mostra permanente. Con Refugia, where life will persist De Carbuccia ci porta nell’isola di Yakushima, una sorta di santuario dove tutte le forma di vita prosperano senza minacce umane di alcun tipo. Dobbiamo sentirci parte di tutto e non padroni di tutto è il messaggio della regista. Poetico e commovente è il corto egiziano Mango, dove la giovane Nadia lascia il Cairo per andare a svuotare la casa del padre defunto a Helwan, una cittadina industriale. Il viaggio nella memoria e nella melanconia si concentra su un albero di mango malandato, ma capace ancora di restituire sapori e profumi di un tempo, un sincero compagno di vita.

Nell’isola di Yakushima si registrano suoni preziosi. Refugia di Anne de Carbuccia

The perfect meal raccomanda la dieta vegetale
Al cibo ideale è dedicato The perfect meal di Alexandros Merkouris, che approfondisce argomenti dibattuti come i benefici della dieta mediterranea e della dieta a base vegetale che valorizza i benefici effetti delle piante sulla nostra salute. Sorprende apprendere che la dieta mediterranea è più seguita nel nord Europa che non nel sud Italia, dove invece ormai prevale una dieta «americana» ipercalorica e per niente salutista come dimostrano livelli di obesità in crescita costante.

