The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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11 Banned Ingredients in other countries that are okay in the US/11 Ingredienti banditi in altri paesi, ma legali in USA

A fronte di quanto avviene negli Usa sul tema della sicurezza e salubrità alimentare noi europei siamo dei privilegiati. Molte leggi e regole ci proteggono da veleni alimentari che gli americani mangiano tutti i giorni. Questo articolo pubblicato da Food Revolution on Network spiega molto bene quali siano queste sostanze dannose e perché continuino ad essere usate dall’industria alimentare americana. Questa situazione di “miglior favore” non ci può esimere dal pretendere di più dai nostri governi affinché diffondano una vera cultura della sana alimentazione e aiutino economicamente i produttori che hanno scelto di abbandonare i veleni del passato.

Many foods sold in the United States are banned or fiercely regulated in other countries due to harmful additives, growth promoters, genetically engineered ingredients, herbicides, or other dangerous practices. Does this concern you? It should!

Fonte: 11 Banned Ingredients In Other Countries That Are Okay In The US

TRADUZIONE:

Ogni Paese ha i propri standard per quanto riguarda gli ingredienti e le pratiche di produzione alimentare che considera sicuri. E alcune delle pratiche considerate normali per l’industria alimentare negli Stati Uniti sono gestite in modo molto diverso in altri Paesi.

È risaputo che negli Stati Uniti il tasso di malattie croniche come il cancro, le malattie cardiache, il diabete e l’obesità è molto elevato. In molti casi, queste condizioni e malattie sono altamente prevenibili. È emerso che ci sono una serie di ingredienti e additivi alimentari che altri Paesi hanno vietato, ma che gli Stati Uniti continuano a utilizzare. È possibile che alcuni di essi abbiano un ruolo nella crisi della salute pubblica?

Il problema della regolamentazione della FDA

Foodbabe.com

Per quanto ci piacerebbe credere che tutto ciò che si trova sugli scaffali dei negozi sia delizioso, buono per noi e sicuro, la verità non è sempre così rassicurante. Infatti, l’offerta alimentare degli Stati Uniti (e di molte altre nazioni) è piena di aromi chimici, additivi, coloranti e altri ingredienti che non vorremmo mai introdurre nel nostro corpo. Prima di iniziare a fare nomi, analizziamo come il governo degli Stati Uniti abbia potuto permettere che ciò accadesse.

Per cominciare, la FDA afferma che le aziende alimentari possono commercializzare nuove sostanze chimiche e additivi alimentari SENZA la supervisione o l’approvazione della FDA, purché “la sostanza sia generalmente riconosciuta, tra esperti qualificati, come adeguatamente dimostrata come sicura…”.

Questo è noto come sistema GRAS e potrebbe sembrare un’ottima idea. Ma cosa fa di una persona un “esperto qualificato”? E come fanno a determinare quali sostanze chimiche le aziende alimentari possono aggiungere al cibo che diamo ai nostri figli? Si scopre che queste aziende spesso convocano i propri gruppi di “esperti” per decidere se un ingrediente può essere dannoso. E molti di questi gruppi contengono scienziati con legami finanziari con ogni sorta di industria, compresa quella del tabacco (“esperti” che potrebbero aver raccomandato, un tempo, che le sigarette erano sicure!). Sulla base delle raccomandazioni del gruppo di esperti, le aziende decidono se condividere o meno i risultati della valutazione con la FDA. Non sono nemmeno obbligate a farlo!

La maggior parte delle sostanze chimiche presenti nell’elenco GRAS non è mai stata sottoposta a test a lungo termine sull’uomo e quindi non può essere garantita la sicurezza. E alcune di esse non reggono nemmeno alla prova del tempo. Per esempio, il BHA è “generalmente riconosciuto come sicuro”, nonostante il National Institutes of Health’s National Toxicology Program abbia concluso che il BHA può essere “ragionevolmente previsto come cancerogeno per l’uomo”.

E poi ci sono i grassi trans artificiali, che storicamente sono stati inseriti nell’elenco GRAS e aggiunti ad alimenti come la pizza surgelata, il burro di arachidi, gli snack confezionati, gli accorciamenti vegetali e le glasse pronte all’uso per migliorarne il sapore, la consistenza e la durata di conservazione. Purtroppo, in seguito abbiamo appreso che i grassi trans causavano oltre 500.000 morti all’anno per malattie cardiache associate.

Nel 2015, la FDA ha finalmente deciso che i grassi trans, o oli parzialmente idrogenati, non erano sicuri, dando ai produttori alimentari alcuni anni di tempo per eliminarli dall’approvvigionamento alimentare. Da quando è scattato il divieto, molte aziende alimentari hanno sostituito i grassi trans con ingredienti come l’olio di palma, che comporta una serie di problemi.

11 ingredienti vietati che sono ancora ampiamente utilizzati negli Stati Uniti

Di seguito sono riportati alcuni degli ingredienti e delle pratiche alimentari più comunemente utilizzati che sono consentiti negli Stati Uniti, ma vietati altrove.

1  Additivi della lievitazione
Gli additivi della lievitazione come il bromato di potassio e l’azodicarbonamide sono sostanze chimiche utilizzate per migliorare la resistenza e la consistenza dell’impasto del pane. Gli ammorbidenti si trovano spesso nei pani bianchi, nei panini e nei “pani all’uovo”. Tuttavia, sono possibili cancerogeni per l’uomo (il bromato di potassio è classificato come cancerogeno di categoria 2B). È noto che l’esposizione a tali sostanze provoca sensibilità respiratoria, come asma o altre difficoltà respiratorie. Per questo motivo, il bromato di potassio è vietato in Cina, India, Brasile, Unione Europea e Canada. L’azodicarbonamide è vietata in Australia e in Europa.

2 Olio vegetale bromurato (BVO)
L’olio vegetale bromurato (BVO) è stato originariamente brevettato dalle aziende chimiche come ritardante di fiamma. Oggi, però, il BVO si trova in alcune bevande sportive colorate e nelle bibite gassate al gusto di agrumi come emulsionante. Gli studi hanno dimostrato che il BVO non è innocuo. Si accumula infatti nei tessuti umani, oltre che nel latte materno, e può causare nel tempo la perdita di memoria. La tossicità del bromo può provocare eruzioni cutanee, perdita di appetito e problemi cardiaci, oltre a gravi danni agli organi e difetti congeniti. Inoltre, il bromo compete con lo iodio per i siti recettoriali nell’organismo, il che può aumentare il rischio di carenza di iodio, di malattie autoimmuni e persino di alcuni tipi di cancro.

3  Propilparabene
Negli Stati Uniti, il propilparabene è utilizzato come conservante in tortillas, muffin, mix di cereali, torte, panini con salsiccia e altro ancora. Alcune ricerche hanno scoperto che può influenzare gli ormoni sessuali e il numero di spermatozoi nei topi giovani. Una ricerca della Cornell University ha anche indicato che l’esposizione ai parabeni può essere collegata al cancro al seno. Johanna Congleton, scienziata senior dell’Environmental Working Group, ci dice: “È molto preoccupante per noi che l’uso di una sostanza chimica che altera il sistema endocrino nei nostri alimenti sia considerato sicuro dal nostro stesso governo… Gli studi dimostrano che le sostanze chimiche che alterano la segnalazione ormonale possono portare a problemi di sviluppo e riproduttivi”. Il propilparabene è assolutamente legale negli Stati Uniti, ma nel 2006 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ne ha vietato l’uso negli alimenti. E nel 2015 l’UE è andata oltre, vietando il propilparabene anche nei prodotti cosmetici.

4 BHA e BHT
BHA e BHT sono antiossidanti artificiali molto diffusi, utilizzati nelle miscele secche, nei cereali e nei prodotti a base di patate disidratate per preservarli e aumentarne la durata di conservazione. Si trovano anche nelle confezioni dei prodotti. Sono possibili cancerogeni e interferenti endocrini, cioè possono alterare la normale funzione degli ormoni e portare a malattie. L’uso di BHA e BHT negli alimenti e nelle bevande è vietato da Regno Unito, Unione Europea, Giappone e altri Paesi.

5 Coloranti alimentari sintetici
I produttori di alimenti utilizzano coloranti alimentari sintetici, come il blu 2, il giallo 5 e il rosso 40, per migliorare la colorazione di alcuni alimenti e ingredienti e renderli più attraenti per i consumatori. Alcuni alimenti che contengono coloranti alimentari sono le bevande (come succhi di frutta, bevande sportive e soda), le caramelle e le glasse utilizzate nei prodotti da forno e nei dolci. Vengono usati anche per cose sciocche come rendere la senape più gialla, il salmone più rosa e i sottaceti in barattolo della perfetta tonalità di giallo-verde. E non parliamo poi delle ciliegie al maraschino! Le ricerche hanno collegato il consumo di coloranti sintetici a un aumento del rischio di numerose patologie, come i tumori e l’iperattività nei bambini. La cosa ancora più esasperante è che negli Stati Uniti si usavano coloranti alimentari naturali fino alla metà del XIX secolo. Ma poi i produttori di alimenti si sono resi conto che era molto più economico usare sostanze chimiche, che rendevano gli alimenti di colori ancora più brillanti. I coloranti alimentari sintetici sono vietati in Europa e in Australia, dove si utilizzano composti coloranti più naturali. Per esempio, nella maggior parte del mondo, la Fanta contiene vero succo di frutta ed è colorata naturalmente. Ma gli americani apprezzano la Fanta colorata con coloranti artificiali derivati dal petrolio come il rosso 40 e il giallo 6.

6 OGM
Gli organismi geneticamente modificati (OGM) esistono dagli anni Ottanta. Ma sono diventati un argomento controverso, e per una buona ragione. Sebbene siano molto diffusi negli Stati Uniti – la maggior parte della soia, delle barbabietole da zucchero, del mais, della colza, del cotone e dell’erba medica sono colture OGM – molti Paesi europei li hanno vietati o regolamentati per motivi di sicurezza pubblica. Una manipolazione genetica comune prevede l’alterazione del DNA di alcune colture per renderle resistenti agli erbicidi. Uno degli erbicidi più comuni utilizzati insieme a questi OGM è il glifosato, l’ingrediente attivo principale del diserbante Roundup. Il consumo di glifosato è legato al cancro. Infatti, diverse persone hanno vinto cause che sostengono che il glifosato abbia causato loro il cancro. Bayer, il produttore del Roundup, sta attualmente combattendo cause per cancro che coinvolgono oltre 13.000 persone. A giugno 2019, vi erano divieti o restrizioni importanti all’uso del glifosato in Argentina, Australia, Austria, Belgio, Brasile, Canada, Colombia, Repubblica Ceca, Danimarca, El Salvador, Francia, Germania, Grecia, India, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Portogallo, Scozia, Slovenia, Spagna, Sri Lanka, Svezia, Svizzera, Thailandia e Regno Unito.

7 Roxarsone
Il farmaco a base di arsenico, il roxarsone, è stato utilizzato abitualmente nei polli negli Stati Uniti fino al luglio 2011, quando Pfizer ha deciso di interromperne la vendita. Tuttavia, non esiste un vero e proprio divieto sull’uso dell’arsenico nell’allevamento dei polli per l’alimentazione. Il Roxarsone veniva utilizzato per aumentare la colorazione rosa della carne di pollo cruda, per accelerare la crescita dei volatili prima della macellazione e per prevenire i parassiti nello stomaco dei polli. Le ricerche dimostrano che l’esposizione cronica all’arsenico può provocare anemia, lesioni cutanee e danni renali. Può anche aumentare il rischio di alcuni tipi di cancro, aborto spontaneo e difetti alla nascita. L’Unione Europea ha vietato l’uso di farmaci a base di arsenico, mentre molti prodotti a base di pollo negli Stati Uniti lo contengono ancora.

8 Ractopamina
Negli Stati Uniti, la ractopamina è uno stimolatore muscolare per maiali, mucche e tacchini. E, come altre sostanze nocive utilizzate durante l’allevamento degli animali, non sparisce quando l’animale viene macellato. Una parte di essa è ancora presente nella carne che si acquista. La ractopamina è vietata in 122 Paesi, tra cui Russia, Cina continentale, Taiwan e molti Paesi europei. Questo perché è stata collegata a danni riproduttivi e cardiovascolari nell’uomo, oltre che ad alterazioni cromosomiche e comportamentali.

9  Erbicidi, insetticidi, fungicidi
Gli erbicidi, gli insetticidi e i fungicidi sono ampiamente utilizzati nelle colture del sistema alimentare statunitense per tenerle libere da insetti e malattie. Nel frattempo, altri Paesi si accorgono (e agiscono) del pericolo che rappresentano per l’uomo. Dei 374 principi attivi autorizzati per l’uso agricolo negli Stati Uniti nel 2016, l’Unione europea ne ha vietati 72. Wow.

10 Olestra
Olestra, o Olean, è un sostituto del grasso privo di colesterolo creato da Procter & Gamble. La FDA ne ha approvato l’uso negli alimenti negli anni ’90 ed è tuttora utilizzato in alcune patatine e patatine fritte. Ma Olestra può provocare reazioni digestive estremamente spiacevoli, come diarrea e perdite intestinali. Un consumo abbondante può anche portare a carenze di vitamine liposolubili A, D, E, K e di carotenoidi. Sia il Canada che il Regno Unito hanno vietato questo ingrediente.

11 Ormoni sintetici
Gli ormoni sintetici, come l’rBGH e l’rBST, sono ampiamente utilizzati nell’industria lattiero-casearia statunitense. Il motivo principale è l’aumento della produzione di latte nelle mucche da latte. Tuttavia, l’rBGH aumenta i livelli di IGF-1 negli esseri umani e può aumentare il rischio di sviluppare il cancro. Inoltre, le mucche trattate con rBGH hanno maggiori probabilità di sviluppare mastite, un’infezione della mammella che richiede un trattamento con antibiotici. Il Canada, l’UE e altri Paesi hanno vietato questi composti.

Cosa si può fare

La domanda che vi starete ponendo in questo momento è: cosa posso fare per proteggermi da questi ingredienti vietati? Anche se non possiamo controllare immediatamente ciò che le aziende alimentari inseriscono nei loro prodotti, non siamo obbligati a mangiarli. E ci sono misure che potete adottare per fare scelte alimentari più sane e sicure, ovunque viviate.

Ecco alcune cose che potete fare per assicurarvi che il cibo che mangiate sia il più sicuro possibile:

Leggere attentamente tutte le etichette degli alimenti. Familiarizzate con gli ingredienti vietati e i loro nomi alternativi e cercateli negli alimenti confezionati.
Consumare il più possibile alimenti minimamente lavorati o, meglio ancora, integrali e biologici. Frutta, verdura, legumi e cereali non avranno il lungo elenco di ingredienti che spesso hanno gli alimenti confezionati e trasformati.
Cucinate a casa il più possibile. In questo modo si ha un maggiore controllo sul cibo che si mangia. Sapete esattamente quali ingredienti vengono utilizzati e potete decidere di mangiare i cibi più in linea con i vostri valori.
Dite no agli OGM e ai prodotti degli allevamenti industriali.
Firmare petizioni. Questo è un ottimo modo per essere coinvolti nelle politiche pubbliche, senza dover nemmeno uscire di casa. Uno dei miei posti preferiti per trovare e firmare petizioni è il sito web del Center for Food Safety.
La buona notizia è che non dovete aspettare che la FDA o l’USDA cambino politica per fare scelte informate su ciò che mangiate e date da mangiare alla vostra famiglia.

Ogni boccone che mangiate è un’occasione per prendere posizione a favore di una vita più sicura e più sana.

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25° Festival CinemAmbiente 2022: per costruire distruggiamo ogni giorno

Da quello schermo c’è qualcuno che ci parla, che ci racconta, che ci rende più consapevoli. L’ultima edizione del Festival CinemAmbiente di Torino (5-12 giugno 2022) ci ha proposto un percorso attraverso tutte le problematiche della nostra sopravvivenza: la produzione di beni, i sistemi economici, i nostri consumi, la nostra scarsa considerazione e conoscenza delle dinamiche dell’ambiente nel quale viviamo e che pretendiamo di avere sotto controllo. Gli spettatori hanno visto scorrere davanti a sé le immagini di una realtà che vivono tutti i giorni eppure non conoscono. Trovarsi di fronte a un cinema non di intrattenimento a volte spiazza e lascia interdetti, ma c’è l’urgenza di sviluppare consapevolezza.
Il mercato europeo della plastica vale 840 milioni di euro. Il riciclo riguarda fino ad oggi solo il 9% di tutta la produzione. Tutto ciò che non si ricicla ci invade, ci avvelena. Lo racconta in Plastic war Stefano Sepe di Castel Volturno. Dagli anni ’50 abbiamo immesso sul mercato 8,3 miliardi di tonnellate di plastica pari a 822mila Tour Eiffel. La metà solo negli ultimi 15 anni. Gli oceani sono invasi ogni anno da 8 milioni di tonnellate di plastica.

Plastic war

E cosa potremmo fare per difenderci da un materiale da una parte così funzionale ai nostri bisogni e dall’altra così dannoso per la salute nostra e del pianeta? Ce lo spiega il documentario olandese Going Circular, di Nigel Walk e Richard Dale premiato dal pubblico: una narrazione completa e diffusa dell’economia circolare contrapposta a quella lineare oggi prevalente. Scegliere la prima significa seguire il percorso della natura dove gli esseri viventi animali e vegetali non lasciano scarti e si rigenerano all’infinito. Noi umani invece «consumiamo», cioè distruggiamo lasciando scorie dappertutto. Del processo rigenerativo di Gaia aveva parlato già nel 1972 lo scienziato britannico James Lovelock, protagonista assoluto di Going Circular. Se solo il 17% delle aziende producessero in modalità circolare le emissioni di gas serra calerebbero del 39%. Una delle industrie più dannose del mondo è quella tessile. Il 50% del tessuto creato finisce in discarica. A Prato va controcorrente Rifò un’azienda virtuosa che ricicla il 15% di tutti i vestiti scartati al mondo.

 

La connessione oggi è tutto, ma non solo quella del nostro smartphone alla quale teniamo moltissimo, quanto piuttosto quella della produzione intensiva di cibo. Ne parla One Earth – tutto è connesso di Francesco De Augustinis. In Cina hanno organizzato palazzi di sette piani dove allevano un milione di maiali all’anno per arrivare in tutto il paese alla cifra impressionante di quasi seicento milioni di capi all’anno. E il sistema non è stato pensato in Cina bensì in Olanda dove dell’allevamento intensivo sono esperti. E non solo per i maiali. Anche i polli possono nascere, morire ed essere smerciati al ritmo di un milione al mese.

Cargill, multinazionale americana promotrice in tutto il mondo di allevamenti intensivi

In queste scelte manca l’etica e anche il senso di una prospettiva come avviene con la diffusione incontrollata del fenomeno dell’antibiotico resistenza, letale soprattutto per i malati di tumore. Tutto si tiene: nutrizione e malattie sono due lati della stessa medaglia. Ma l’attività dell’uomo a danno di sé stesso e del pianeta non è unidirezionale. A Cinemambiente abbiamo fatto la conoscenza anche di persone impegnate a cambiare direzione. L’americano Pleistocene park, Luke Griswold-Tergis, menzionespeciale della giuria ci coinvolge nella storia di Sergey Zimov, un famoso ecologista russo dell’Artico. Zimov è convinto che solo la presenta degli animali selvatici può preservare il permafrost della Siberia del Nord, che potrebbe sciogliersi col crescere delle temperature. Gli animali, infatti, d’inverno scavano sotto la neve alla ricerca di cibo e il permafrost non più coperto dallo strato “termico” della neve mantiene una temperatura di 4 gradi più fredda. Tutta la Siberia del Nord è un ghiacciaio sotterraneo, la più grande riserva di carbonio organico del pianeta, il doppio della quantità presente nell’atmosfera. E se questo carbonio si liberasse nell’atmosfera potrebbe causare un disastro ecologico enorme. Zimov porta in Siberia bisonti, cavalli, renne, animali qui presenti nel Pleistocene insieme ai mammut. Le piante dei pascoli risucchiano carbonio nel terreno. Un visionario che la scienza prende più sul serio. La nostra conoscenza dell’ecologia è primitiva, dice Zimov. Nessuno sa come creare ecosistemi nuovi, l’unico modo è provare a recuperare quelli vecchi. Sull’eccesso di carbonio ci mette in guardia Zimov, ma il carbonio non è solo un pericolo, anzi, è la sostanza della quale siamo composti noi umani.

SEGUE


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Il WWF contro i falsi miti della sicurezza alimentare

Campo di fiori di girasole in Ucraina. La presunta penuria di quest’olio imporrebbe il ritorno all’olio di palma in parte abbandonato per motivi ecologici. di Foto di Munruthel da Pixabay

Il WWF fa chiarezza con un suo decalogo sui falsi miti della sicurezza alimentare. La guerra in Ucraina sta fungendo da volano per allarmi sulla disponibilità di risorse alimentari. Mancherà farina, quindi pane e pasta, mancherà mangime, quindi carne e latticini, mancheranno fertilizzanti quindi vegetali e di nuovo mangimi prodotti in loco: si dice. Aziende che fino a ieri magari dichiaravano di produrre pasta con solo grano italiano si lamentano per la possibile mancanza di materia prima, che invece dovrebbero avere a prescindere. Eppure non c’è solo la guerra a mettere in pericolo la possibilità di sfamarci. C’è anche una persistente siccità, che affligge il Nord Italia da tre mesi, ci sono gelate improvvise o afflussi abnormi di acqua piovana. Traduzione: l’emergenza climatica. È fin troppo evidente che per andare avanti non si possa tornare indietro. A nulla, se non a peggiorare la situazione, può servire inquinare di più per “produrre di più”. Sarebbe invece il caso di accelerare qualche scelta virtuosa che il WWF inserisce nel suo decalogo come per esempio:

1) Consumare meno carne e prodotti di origine animale, che consentirebbe di ridimensionare il comparto della zootecnia intensiva (oggi il 70% della superficie agricola utilizzata in Europa è dedicata a materie prime destinate ai mangimi per la zootecnia intensiva).

2) Cercare il giusto equilibrio tra produzioni locali, diversificate e filiere agroindustriali sostenibili, creando relazioni con reti diffuse di produttori a livello nazionale ed europeo, riducendo la dipendenza dalle importazioni da Paesi extra UE e fissando criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella produzione delle materie prime.

Forse la risposta sarà sempre la stessa e cioè che non c’è tempo, che un cambiamento epocale di questo tipo non è realistico. Ma perché invece sarebbe realistico tornare alle centrali nucleari, che richiedono più di 25 anni per essere messe in funzione? Ed è stato un successo per il clima, la qualità del cibo, la biodiversità il ricorso continuato ed esteso all’agricoltura industriale che ha sopraffatto quella locale in pochi decenni?

Dalla pandemia prima e dalla guerra oggi possiamo uscirne migliori o peggiori dipende dalla lungimiranza di chi ci governa e dal bene che vogliamo a noi stessi, specie umana a rischio.

10 domande e risposte del WWF per sfatarli. La morsa speculativa della crisi alimentare fra emergenza climatica e guerre

Emergenza climatica e guerre: la “morsa speculativa della crisi alimentare”

Le conseguenze della guerra in Ucraina ci ricordano quanto sia fragile la sicurezza alimentare, basata su modelli di produzione agricoli intensivi.
Per fronteggiare la crisi dei mercati in tempo di guerra in molti – fra cui diversi politici – hanno chiesto di aumentare le produzioni cancellando o indebolendo le attuali misure ambientali della Politica Agricola Comune e del Green Deal europeo. Tra le richieste più clamorose troviamo l’abolizione del divieto dell’uso di pesticidi nelle aree di interesse ecologico e l’utilizzo dei terreni a riposo, ovvero di quelle aree meno produttive dal punto di vista agricolo, ma essenziali per la conservazione della biodiversità.
Queste richieste sono irrazionali e controproducenti. La verità è che la produzione alimentare globale è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale, ma è attualmente mal utilizzata. I veri rischi alla sicurezza alimentare nel nostro Paese non derivano dal conflitto in corso in Ucraina, ma dalle bolle speculative che condizionano produzioni e mercati a partire dalle crisi finanziarie del 2008 e 2011; a queste si aggiungono le gravi conseguenze della crisi climatica che già pesa in maniera significativa sui sistemi agricoli per effetto della siccità e aumento dei fenomeni meteorologici estremi.
Il WWF, per anticipare il lancio della Campagna Food4Future, che mostra come il nostro futuro e quello del Pianeta dipendano in gran parte dalle scelte che facciamo a tavola e da un sistema alimentare sostenibile, vuole spiegare in maniera semplice le vere ragioni che generano l’attuale insicurezza alimentare e come è più opportuno affrontarla creando un sistema agroalimentare resiliente e equo anche in situazione di crisi.

1. È vero che la guerra ha messo in crisi il sistema agroalimentare italiano?
NO: gli effetti della crisi collegata alla guerra in Ucraina sui sistemi agroalimentari in Italia sono limitati solo ad alcune materie prime che il nostro Paese importa dall’est dell’Europa, in particolare mais e olio di girasole. L’unico settore che avrà delle ripercussioni dirette è quello zootecnico, grande consumatore di mais: in UE il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali (fra cui mais) è infatti di origine extra UE. Anche in Italia maggior parte (oltre l’80%) del mais è destinata all’uso zootecnico e solo la restante parte è utilizzata per altri impieghi. Oltre alla perdita del maisucraino (da cui proviene quasi la metà del mais importato in Europa e il 13% di quello importato in Italia), è stato annunciato il blocco delle esportazioni di mais anche dall’Ungheria per tutelare la domanda interna, ma anche per speculazioni finanziarie legate all’aumento dei prezzi sul mercato globale. L’Ungheria con circa il 35% è il principale fornitore di mais per l’Italia. Le importazioni di mais dell’Italia rappresentano poco meno del 50% della domanda interna, in aumento da alcuni anni in conseguenza del crollo delle superfici a mais in Italia. Gli agricoltori italiani hanno, infatti, smesso di produrre mais per la filiera zootecnica per il suo basso prezzo sul mercato, preferendo altre colture in grado di garantire redditi più alti. Il risultato di queste scelte, dettate solo dalla logica del massimo profitto, è la perdita dell’autosufficienza nella produzione di mais in Italia, ridotta in un decennio al 50% del fabbisogno totale.
Anche la filiera dell’olio di girasole (usato per conserve, prodotti da forno, salse, fritture) risentirà degli effetti della guerra, perché l’Ucraina detiene il 60% della produzione e almeno il 75% dell’export mondiale e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. L’olio di girasole può essere però sostituito con altri oli vegetali disponibili sul mercato.

2. È vero che quest’anno avremo carenza di grano e cereali a causa della crisi ucraina?
NO: le aziende agroalimentari italiane importano dall’Ucraina una ridotta quantità di grano, il 5% del proprio fabbisogno, che può essere agevolmente soddisfatto dalla produzione europea di frumento che supera attualmente la domanda interna degli Stati membri dell’Unione. L’aumento del costo del grano, duro e tenero, è in atto da ben prima del conflitto in Ucraina ed è causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, come conseguenza della siccità che ha colpito il nord America nella stagione 2020-21. Nel 2022 eventuali carenze di grano o altri cereali in Italia potrebbero essere generate dalla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese e che avrà ripercussioni sul raccolto di quest’ estate. I Paesi più vulnerabili agli effetti della guerra, per la loro forte dipendenza dalle importazioni di frumento dall’Ucraina e dalla Russia, sono quelli del nord Africa, un problema questo che dovrà essere affrontato dalla FAO, trovando fonti di approvvigionamento alternative. Gli agricoltori dovrebbero preoccuparsi maggiormente degli effetti di medio e lungo periodo del cambiamento climatico, non solo per l’aumento della siccità e della frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi, ma soprattutto per gli effetti ripetuti nel tempo sulle produzioni agricole.

3. Le speculazioni finanziarie stanno condizionando la produzione di materie prime agroalimentari?
SÌ: una delle possibili cause della crisi del settore agroalimentare, determinata dall’aumento dei prezzi delle materie prime, oltre che dei carburanti e dei fertilizzanti chimici di sintesi, è da individuare senz’altro nella speculazione finanziaria. Vi è una differenza sostanziale nella logica d’azione degli operatori commerciali tradizionali da quelli finanziari. I primi prendono le loro decisioni di acquisto e vendita dei “futures”(contratti che stabiliscono l’impegno da parte dei contraenti a vendere e acquistare una certa quantità di merce ad una data futura per un prezzo stabilito) principalmente in base alle previsioni dei livelli di produzione delle materie prime agricole, sulla base degli andamenti della domanda e sulle informazioni relative alla consistenza delle riserve esistenti. Gli operatori finanziari sono guidati, invece, da logiche svincolate dai livelli della produzione agricola, seguendo esclusivamente le intenzioni di vendita o acquisto dei titoli che sono di breve o brevissimo termine. Un aumento del valore dei “futures” induce coloro che li posseggono a ritardarne la vendita per poter realizzare maggiori ricavi in futuro grazie all’aumento dei prezzi. Il risultato complessivo è che i prezzi salgono ancora di più perché l’offerta cala e la domanda cresce, indipendentemente dalla produzione agricola reale, solo per effetto delle strategie di acquisto e vendita dei titoli. Si creano così bolle speculative dove l’andamento dei prezzi delle materie prime non riflette le tendenze reali della produzione agricola, ma segue le transazioni dei relativi titoli finanziari.

4. Le lobby dell’agricoltura convenzionale stanno strumentalizzando la crisi legata alla guerra?
SÌ: le Associazioni agricole a livello europeo e nazionale stanno utilizzando le difficoltà collegate alla guerra in Ucraina, amplificandole, senza vere motivazioni oggettive sostenute da dati che dimostrino il rischio di una reale crisi alimentare nel nostro Paese e in Europa. L’obiettivo è fare pressione sui decisori politici per cancellare o ridimensionare le norme ambientali della nuova Politica Agricola Comune (PAC) e gli obiettivi delle due Strategie UE del Green Deal, “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”. Queste due Strategie dell’UE prevedono, entro il 2030, la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e antibiotici, la riduzione del 20% dell’uso dei fertilizzanti chimici di sintesi, l’aumento fino al 25% – a livello europeo – della superficie agricola utilizzata (SAU) per l’agricoltura biologica e la creazione di aree destinate alla conservazione della natura nel 10% delle superfici agricole. Sono tutti obiettivi che impattano sugli interessi economici dell’agroindustria, legati alla produzione di pesticidi e concimi chimici, nonché alla produzione agricola intensiva in generale. Per questo motivo, le potenti lobby agricole hanno cercato di ostacolare queste Strategie europee fin dalla loro presentazione ufficiale, il 20 maggio 2020, riuscendo a condizionare la recente riforma della PAC, evitando fino ad oggi di rendere questi obiettivi ambientali vincolanti per gli Stati membri. La nuova PAC contiene, comunque, alcune novità importanti, utili per l’attuazione delle due Strategie UE, tra cui l’obbligo delle rotazioni delle colture e l’obbligo di destinare alla conservazione della natura almeno il 4% delle superfici utilizzate per i seminativi, ma solo per le aziende che hanno una SAU superiore ai 10 ettari. La guerra in Ucraina ha offerto l’occasione per chiedere l’eliminazione di queste norme ambientali della PAC.

5. È importante ridare spazio alla natura nelle aziende agricole?
SÌ: L’agricoltura è il settore economico che più dipende dai “servizi ecosistemici”, ovvero da quella serie di benefici che i sistemi naturali generano a favore delle società umane, come la formazione del suolo, la fornitura di acqua, la regolazione del clima, l’impollinazione e tanti altri. È evidente che molti di questi servizi, che dipendono dalla biodiversità, sono essenziali per garantire la stessa produttività agricola. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha documentato come, per assicurare la stabilità degli agroecosistemi dai quali dipendono tutte le produzioni di cibo e materie prime agricole, sarebbe necessario destinare nelle aziende agricole almeno il 10% delle superfici alla conservazione della biodiversità naturale e dei suoi relativi servizi. Questo obiettivo è stato pertanto inserito nella Strategia Biodiversità 2030 dell’UE, che ha sostanzialmente recepito le indicazioni fornite dalla scienza. Le aree dedicate alla natura nelle aziende agricole non sono aree incolte improduttive, sono invece aree dove si producono e mantengono i servizi ecosistemici indispensabili per l’agricoltura stessa, come nel caso della conservazione degli insetti impollinatori che hanno necessità di queste aree naturali per la loro alimentazione e riproduzione.

6. Il cambiamento climatico sta già influenzando le produzioni agricole?
SÌ: i periodi di siccità prolungata, che riducono i raccolti o fanno aumentare a dismisura i costi di produzione, e l’aumento nella frequenza e nell’intensità degli eventi meteorologici estremi (come alluvioni, grandinate, gelate tardive) impattano direttamente sulle colture agricole in campo. L’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici) presentato il 28 febbraio 2022 e dedicato agli “impatti, adattamento e vulnerabilità” connessi al cambiamento climatico, identifica quattro categorie di rischi- chiave per l’Europa: 1) maggiore frequenza e intensità delle ondate di calore su popolazioni ed ecosistemi; 2) scarsità della produzione agricola a causa di una combinazione di caldo e siccità; 3) scarsità di risorse idriche nell’Europa meridionale; 4) maggiore frequenza e intensità delle inondazioni. Tre di queste categorie di rischio su quattro hanno impatti diretti e indiretti sulla produzione agricola, già oggi evidenti. Nella scorsa estate, per esempio, il comparto frutticolo italiano ha avuto – a causa del cambiamento climatico – una perdita media complessiva del 27%.

7. Consumare meno carne è un fattore di sicurezza per tutto il comparto agroalimentare?
SÌ: attualmente il 70% della superficie agricola utilizzata in Europa è dedicata a materie prime destinate ai mangimi per la zootecnia intensiva, necessari per sostenere una produzione e una domanda crescenti di carni, salumi, formaggi, latticini, uova e pellami per l’abbigliamento e l’industria manifatturiera. Nonostante l’uso di questa grandissima percentuale di superficie agricola, il mercato delle materie prime destinate alle filiere zootecniche dipende anche, e sempre più, dalle importazioni da Paesi extra UE, rendendosi responsabile della deforestazione e distruzione di ecosistemi nelle aree più ricche di biodiversità del nostro Pianeta, come avviene in Sud America con l’estendersi incessante delle coltivazioni di soia e di pascoli per l’allevamento dei bovini da carne. La zootecnia, inoltre, è la principale responsabile delle emissioni di gas climalteranti da parte dell’agricoltura, dove un ruolo importante lo ha il metano, generato dal metabolismo degli animali allevati e dalla gestione delle deiezioni zootecniche responsabili anche del grave inquinamento da nitrati di suoli e corsi d’acqua. L’Italia importa dall’estero il 90% della soia e il 50% del mais, materie prime utilizzate in larga parte per la produzione di mangimi per la zootecnia. Questa dipendenza dall’estero incide significativamente sui prezzi, che registrano un continuo aumento per tutte le materie prime utilizzate per i mangimi, con rialzi in alcuni casi anche superiori al 100%. L’Europa e con essa l’Italia hanno fortemente puntato sulla zootecnia intensiva attirate dalla maggiore redditività per le aziende agricole. In realtà i margini di guadagno economico per le aziende zootecniche si sono ridotti sempre di più nell’ultimo decennio e la loro sopravvivenza dipende oggi solo dai consistenti sussidi pubblici della PAC dell’UE.
Ridurre la domanda di carne e prodotti di origine animale consentirebbe di ridimensionare il comparto della zootecnia intensiva, con una riduzione del numero di animali per allevamento a favore di una produzione animale più estensiva, basata sul pascolo. La superficie agricola liberata dalle produzioni destinate alla zootecnia potrebbe essere così destinata a produzioni alimentari per uso umano diretto.

8. È corretto sostenere che bisogna intensificare sempre di più le produzioni per aumentare la sicurezza alimentare?
NO: l’agricoltura intensiva, basata sulle pratiche convenzionali dipendenti dagli input chimici (fertilizzanti e pesticidi), motivata dalla massimizzazione dei profitti, promette di “sfamare il mondo” producendo grandi quantità di beni alimentari omogenei (“commodities”) con bassi costi di produzione, in modo che possano essere distribuiti da catene logistiche globalizzate. Questo sistema, apparentemente efficiente, funziona però a scapito dei sistemi naturali – che sostengono tutta l’agricoltura – ed è fortemente dipendente, direttamente e indirettamente, dalle fonti energetiche fossili per la produzione di fertilizzanti chimici e pesticidi, per l’utilizzo dei mezzi meccanici, per le filiere logistiche globali. Di conseguenza, qualsiasi fattore che determini crisi negli approvvigionamenti delle materie prime o comporti un aumento dei costi di carburanti, energia o fertilizzanti chimici, ha ripercussioni immediate sui costi di produzione e sui prezzi di mercato, che condizionano anche l’accessibilità del cibo ad un prezzo equo per tutti i cittadini, in particolare nei Paesi più poveri. L’intensificazione della produzione non è sostenibile nel lungo termine sia per gli elevati impatti sull’ambiente, sul clima e sulla biodiversità, sia per la dipendenza dai mercati globali, resi sempre vulnerabili dalle speculazioni finanziarie basate sulle transazioni a livello internazionale delle materie prime agricole.

9. L’agroecologia propone delle soluzioni praticabili?
SÌ: l’agroecologia è la scienza che applica i concetti e i principi dell’ecologia per progettare e gestire sistemi agro-alimentari sostenibili. È nel contempo una disciplina scientifica, un movimento, un insieme di pratiche che guarda all’intero sistema alimentare, per raggiungere obiettivi di produttività, stabilità, sostenibilità, per costruire nuove relazioni ed equilibri tra risorse naturali disponibili, agricoltura ed esigenze della società. Il WWF promuove l’agroecologia quale pratica che contribuisce a regimi alimentari sani, sostenibili, equi, accessibili, diversificati, stagionali e culturalmente appropriati. Rafforzare la vitalità degli ecosistemi nelle zone rurali, attraverso una rinaturalizzazione delle campagne, una migliore integrazione di zootecnia e agricoltura e una riduzione degli input chimici in campo, consente di creare sistemi produttivi integrati e resilienti, capaci di garantire una migliore sicurezza alimentare in tempi di crisi, così come un’equa redditività agli imprenditori agricoli. L’agroecologia si basa sulle migliori conoscenze scientifiche disponibili e sull’esperienza e competenza degli agricoltori, promuovendo comunità di pratiche innovative e sostenibili. L’attenzione ai sistemi locali riduce la dipendenza dall’importazione delle materie prime agricole e aumenta la resilienza dei sistemi agroalimentari. Nell’approccio agroecologico è importante anche il ruolo della zootecnia sostenibile, all’interno di ogni singola azienda agricola o di un comprensorio territoriale locale, per favorire la vitalità del suolo e la presenza di sostanza organica e incrementare il livello di biodiversità nei sistemi agricoli.

10. È vero che bisogna puntare sulle filiere corte?
SÌ: le filiere corte, basate sulla relazione diretta tra agricoltori e consumatori nei territori, sono un aspetto importante dell’approccio agroecologico, in quanto favoriscono la multifunzionalità delle aziende agricole garantendo maggiori margini economici nel rapporto costi di produzione e entrate derivanti dalla vendita diretta, spesso per prodotti trasformati ad elevato valore aggiunto (conserve, salumi, formaggi e latticini). Le filiere corte possono essere importanti per garantire al sistema agricolo una maggiore flessibilità e una rispondenza alla domanda locale, con una minore dipendenza dalle filiere logistiche globali e dalle importazioni dall’estero delle materie prime, ma solo quando l’azienda agricola è gestita secondo i criteri dell’agroecologia, come nel caso delle aziende agricole biologiche. Tuttavia i sistemi agroalimentari locali a filiera corta non sarebbero mai in grado di soddisfare completamente i fabbisogni alimentari di un Paese con milioni di abitanti, in particolare quando esiste una forte concentrazione della popolazione nelle città lontane dalle aree agricole. È, quindi, necessario ricercare il giusto equilibrio tra produzioni locali diversificate e filiere agroindustriali sostenibili, creando relazioni con reti diffuse di produttori a livello nazionale ed europeo, riducendo la dipendenza dalle importazioni da Paesi extra UE e fissando criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella produzione delle materie prime.
Il governo italiano, fino ad oggi, non ha promosso una vera transizione ecologica della nostra agricoltura, ma, piuttosto, ha accolto le richieste delle associazioni agricole e zootecniche e dei grandi gruppi industriali dell’agrochimica, gli stessi che producono quegli input di sintesi necessari per l’agricoltura convenzionale.
Questa impostazione è stata confermata con la redazione di un Piano Strategico Nazionale (PSN) della PAC post 2022 non adeguato alla transizione ecologica della nostra agricoltura. Una visione che non guarda al futuro della nostra agricoltura che evidenzia una scarsa percezione dei rischi connessi alle crisi ambientali globali. Unica nota positiva della politica agricola del nostro governo è l’investimento sull’agricoltura biologica con un obiettivo al 2030 superiore rispetto alla media europea del 25%, indicato dalle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”.

FONTE: I falsi miti sulla sicurezza alimentare | WWF Italia