The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Farsi un giro di veg a Vienna

Piatto del ristorante &Flora nell’Hotel Gilbert. Credit: Michael Koenigshofer

La città della Sacher e del Wiener Schnitzel ha un’anima vegetariana e vegana, sopita per alcuni decenni, ma  che ora sta riemergendo con forza con ristoranti innovativi. Era il 1877 quando a Vienna le «povere» verdure iniziarono ad essere riabilitate e Karl Ramharter, un fornaio, aprì con sua moglie Magdalena, il primo ristorante vegetariano della storia viennese. Tra i suoi più illustri clienti annoverò ben presto il compositore Gustav Mahler, che evidentemente apprezzava una cotoletta a base di sedano, farro verde e lenticchie come una sinfonia. La salute era al centro di questa ondata vegetale infatti tutti i ristoranti vegetariani si presentavano come «igienico-sanitari». Inquinamento ed emergenza climatica non erano ancora avvertiti come un problema. L’invasione della chimica in agricoltura era di là da venire. E così alla rinuncia alla carne si associava spesso la rinuncia ad alcol, tabacco e pane bianco (troppo zucchero). Infatti nei ristoranti vegetariani non si servivano alcolici. La più famosa associazione vegetariana Verein für naturgemäße Lebensweise, fondata nel 1881 motivava quella scelta anche in favore del benessere animale. Un congresso vegetariano fu organizzato nel 1886. Pochi erano i vegani anche perché la soia, naturale sostituto delle proteine animali non era impiegata in cucina.

La cerchia dei «ribelli alla carne» era piuttosto chiusa, ma le tendenza era quella di trasmettere all’esterno un’immagine più orientata alla gioia di vivere e al divertimento che non  all’ascetismo. Per questo il programma dell’associazione era ricco di feste e viaggi. Il pubblico di riferimento era la classe media, ma per il lavoratori c’era un messaggio economico: «Mangiare vegetariano costa meno».  In realtà le classi più povere già mangiavano poca carne e non erano così disposte a rinunciare alle modeste quantità che si potevano permettere. In realtà anche oggi i più poveri avvertono come una punizione la proposta di nutrirsi con meno carne e dunque non mangiano meglio dei ricchi come è stato incautamente affermato da un ministro. Al passato veg della capitale austriaca è dedicato un progetto di ricerca finanziato dal Comune: Il movimento vegetariano di Vienna 1870-1938. La cucina vegetale contemporanea si giova oggi sia di tutte le nuove conoscenze sulle materie prime che delle contaminazioni gastronomiche da tutte le parti del mondo. È il caso del ristorante &Flora, dove la chef di origine iraniana Parvin Razavi propone una cucina nordica e insieme orientale con un largo uso di erbe e spezie e prodotti locali.

Il risultato sono uno schieramento sul tavolo di piattini colorati e vari negli ingredienti e nei sapori. Il loro motto è «dalla radice alla foglia» e dunque un uso dei vegetali senza sprechi e con l’obiettivo di ottenere il massimo del sapore. Peccato che la carne non sia del tutto esclusa dal menu come del resto avviene all’Hausbar.

Tavolo apparecchiato all’Hausbar Credit: Benjamin Mohl

Qui lo chef Mario Ulrich si concentra su una cucina regionale e stagionale con un menu di sette portate accompagnate da bevande analcoliche aromatiche. Famoso è il suo gulasch vegetariano. Il massimo della raffinatezza vegetale e dell’alta cucina è ben rappresentato dal Tian fondato da Christian Halper e oggi diretto dallo chef Paul Ivić. La sua missione è quella di valorizzare ortaggi, frutta e cereali della regione coltivati biologicamente così da preservare contenuti nutrizionali e gusto.

Un piatto del Tian Credit: Ingo Petramer

Radici, foglie e bucce trovano spazio più nella pentola che nel cesto dell’immondizia. «Per me è importante non imitare il sapore della carne con la mia cucina, ma piuttosto esaltare il gusto della natura», spiega lo chef che ha portato al Tian una stella Michelin e quattro cappelli Gault Millau. Una versione bistrot del Tian è ubicata nel quartiere Spittelberg in un giardino Biedermeier. Da una costola del Tian è nato il Jola di Jonathan Wittenbrick, ex-Tian, e della sua compagna Larissa Andres (da qui il nome JoLa).

Jonathan e Larissa nel loro Jola. Dal loro sito.

Il loro impegno è tutto incentrato nel far emergere il gusto a volte nascosto dei vegetali. Nel menu a sorpresa  le verdure prevalgono anche su legumi e cereali. Propongono bevande analcoliche come il sempre più popolare kombucha e il meno noto kvass a base di brezel. Intrigante è la sfida vegetale lanciata dalle avanguardiste Cecilia Havmöller e Susanna Paller, che dal 2019 gestiscono il Lala, un luogo per asporto e ristoro veloce non solo senza prodotti animali, ma anche senza plastica e zucchero.

I piatti colorati del Lala Severin Wurnig

I loro piatti sono preparati al momento e consistono in ciotole (bowl) miste con ingredienti insoliti tipo teff e micro ortaggi, alghe, insalate, frullati proteici, dessert. Questo ristorante, che oggi a Vienna ha due sedi, è stato il naturale proseguimento delle gelaterie Veganista che dal 2013 si sono affermate come tra le migliori di Vienna pur senza avere tra i loro ingredienti una goccia di panna. Molto riusciti i gusti ispirati alle torte Sacher e Foresta Nera. Il segreto dei loro locali sta anche negli arredi molto colorati e pensati per trasmettere leggerezza e allegria ai propri clienti. Gli ambienti tradizionali delle birrerie austriache sembrano d’un tratto più malinconici e meno accoglienti. Ecco che abbandonare il würstel può diventare meno traumatico.


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Una cartolina veg da Berlino

Da Hummus and friends: vegano israeliano

Nella capitale tedesca le api sono ovunque. Ti tengono compagnia mentre bevi il caffè o mangi all’aperto e sono golose di tutto. Non sono aggressive, si avvicinano, si posano e se ne vanno. Il primo impulso è quello di scacciarle magari con un fazzoletto o un tovagliolo, ma loro sono lì per tornare. E alla fine ci si rassegna e si capisce che le api a Berlino sono cittadine della città. Non sono lì per caso, ma fanno parte di un progetto del WWF che ha creato in grandi città europee aree floreali per le api e anche altri insetti. Le api berlinesi appartengono a 320 specie differenti. E tra queste ve ne sono alcune molto specifiche, la cui esistenza era minacciata e che hanno bisogno di pollini particolari per sopravvivere. Sono ora 71 le oasi speciali per le api ora presenti a Berlino.

Foto di Ottó da Pixabay

Ogni ambientalista non può che essere felice di socializzare con le api e alla fine ci si fa l’abitudine: meglio che con le zanzare!
Visitare la città assumendo comportamenti ecologici è relativamente semplice. Per muoversi con i mezzi pubblici è sufficiente acquistare una Berlin Welcome Card (BWC) che dà diritto a partire da 25 euro (durata variabile da 48 ore a 6 giorni) a trasporti pubblici gratuiti a Berlino, sconti fino al 50% su diverse attrazioni. Si timbra una volta, si tiene in tasca e basta. Le distanze da quartiere a quartiere sono ampie e la durata dei semafori pedonali è molto breve (consente di attraversare solo la metà di una larga arteria). Ci vuole anche pazienza e programmazione. U-bahn ed S-Bahn consentono spostamenti rapidi ed esperienze storiche in vecchie stazioni e vecchi vagoni senza aria condizionata. Gli autobus più moderni dal canto loro ci fanno ammirare la città ed evitano a volte lunghe camminate sottoterra. Visit Berlin (l’ufficio turistico ufficiale) ha un sito ricchissimo di informazioni aggiornate e soprattutto l’applicazione Going Local Berlin è in grado di soddisfare le nostre curiosità specifiche. La consultazione può avvenire per tema o per quartiere e i suggerimenti sono tutt’altro che banali. Poi a forza di camminare e visitare un desiderio irrefrenabile di bere, mangiare e sedersi ci avvolgerà. Ma non dobbiamo farci cogliere impreparati e dare un valore a quei momenti di relax conferisce al viaggio un suo sapore particolare. Le esigenze di un turista veg sono ben note in questa città, dove le alternative vegetali sono presenti ovunque. Una piccola mappa cartacea in distribuzione nei ristoranti veg e l’app Berlin-Vegan (solo per Apple) propone quasi 200 indirizzi per mangiare, acquistare e vestire veg.
I berlinesi sono stati pure capaci di inventarsi una versione veg del loro celebre curry wurst nato nel dopoguerra per rendere mangiabile carne di scarsa qualità. Le alternative veg economiche e gustose sono molto ben rappresentate dalla cucina asiatica, vietnamita in particolare, e da quella mediorientale. Le prima già per sua tradizione non contempla latticini e fa largo uso di tofu, riso, soia e verdure. La seconda invece ha molte ricette a base di legumi come i celebri falafel e hummus, riso e insalate. Tra i ristoranti asiatici veg due buoni indirizzi sono: nel quartiere Mitte QN Vegan Living  e invece nel quartiere di Charlottenburg Saigon Green, non tutto vegano, ma capace di proporre tra i suoi piatti una saporita zuppa esotica e gustosi involtini con tofu.

La zuppa con wonton ripieni di tofu di Saigon green

Un hummus israeliano davvero gustoso e certamente più autentico di quelli che si mangiano abitualmente in Italia si trova da Hummus and Friends , posizionato vicino all’antica sinagoga e che proclama «Make hummus, not walls». Un messaggio che sembra essere stato raccolto in un ristorante siriano del quartiere ebraico, Yarok, che in ebraico significa verde. Il nome, scrivono, pare sia stato scelto proprio con un intento di solidarietà e pacificazione. Il loro falafel e la loro crema di melanzane con salsa di sesamo è di grande qualità. Atmosfera giovane e cordiale. A pochi passi si può assaggiare da Princess Cheese Cake la miglior torta al formaggio bianco della città. Un indirizzo ovviamente solo per vegetariani dato che qui la versione a base vegetale non è prevista. Tutto molto fresco, poco dolce e ben equilibrato nei sapori.

Un cheesecake di Princess

Per una cucina vegetariana/vegana creativa più sofisticata l’indirizzo è Cookies and Cream sempre a Mitte e che ha ottenuto una stella Michelin nonostante il suo accesso sia posizionato dentro un magazzino-autorimessa! Menù da 90/100/110 euro per piatti curati dove le verdure primeggiano.

Presentazione dal sito di Cookies and cream

Per acquisti o anche consumazioni sul posto a prezzi più bassi che in Italia ci sono i negozi della catena Biocompany, che fanno anche servizio bar. I negozi bio (si usa anche in tedesco invece dell’inglese organic) sono numerosi e un elenco dettagliato si può trovare qui. Le pasticcerie sono molto tradizionali e la «salvezza vegan» sta in Sfera, un caffè tutto vegetale molto colorato con torte appetitose . Il mercoledì o la domenica mattina è consigliabile fare un salto al mercato di Karl-August-Platz, dove la proposta di verdura e frutta proposta è sorprendentemente ricca. Molte varietà di mele, radici, diverse tipologie di patate e cavoli e in stagione anche pomodori, zucchine e insalate. Immancabile un coffee truck (ce ne sono molti a Berlino) con un ottimo espresso e tavolini per assaggi sul posto.

Fiori e frutti di bosco al mercato di Karl August Platz

I musei più celebri della città devono essere prenotati qualche giorno prima per evitare di essere messi facilmente alla porta. La giornata di chiusura poi non è per tutti il lunedì. In diversi casi è fissata per martedì e mercoledì. Ultimamente riscuote una gran popolarità il Museo dedicato alla storia della DDR. È stato concepito per essere molto interattivo e infatti giovani e bambini sono molto attratti e sembrano divertirsi. Il problema è che la vita nella DDR non era affatto divertente e il messaggio che arriva ai visitatori è fuorviante anche se i fatti storici sono tutti esposti con chiarezza. Tutti entrano nella sala interrogatori e simulano di sedersi di fronte a un poliziotto, ma non immaginano nemmeno quanto fosse terribile trovarsi lì. Difficile avere nostalgia per la dispensa dei tedeschi orientali, che si nutrivano con grandi quantità di carne di bassa qualità, cibi conservati e imitazioni di prodotti commerciali dell’Ovest.

Le “Delicatessen” della Germania Est esposte nel DDR Museum

In ogni cucina oltre al cibo trovano spazio e importanza gli utensili, che nel tempo si sono evoluti nella loro funzionalità e nel design. Ne troviamo un campionario dettagliato al Museum Der Dinge o Museo delle Cose. Qui si ripercorre il ruolo delle cose nella società industriale sotto diverse prospettive: culturale, sociologica, ingegneristica e di storia del design. Non meravigliatevi se vedrete esposto in vetrina un tostapane o una caffettiera che tuttora usate a casa vostra. Il contesto vi illuminerà sul senso di ogni oggetto che avete ancora in casa o che avete visto sulla bancarella di un robivecchi. La base del Museum, che ha in collezione 40mila documenti e 40mila oggetti, è la Deutscher Werkbund, la lega tedesca artigiani fondata a Monaco di Baviera nel 1907.

Attrezzi da cucina al Der Dinge Museum

Impossibile camminare per Berlino senza ricordarsi della Shoah e della comunità ebraica fiorente che qui viveva prima dell’avvento del nazismo. Ancor prima di visitare il Memoriale e i musei dedicati capiterà spesso di calpestare pietre d’inciampo disseminate soprattutto nel quartiere ebraico dove campeggia altissima la cupola dell’antica sinagoga, oggi un museo dove in video ebrei tedeschi contemporanei ci raccontano della loro vita e degli ebrei di ieri, perseguitati e uccisi.

Pietra d’inciampo Kathe Simonshon

 

 

 

Con quali occhi dunque alla fine guardare a Berlino? Con gli occhi aperti: con attenzione al suo passato remoto e prossimo, al presente multietnico e anche alla visibile progressiva attenzione all’ambiente e al cibo sano.

 

La cupola dell’antica sinagoga centrale di Berlino

 


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Carne vietata. A Varanasi si mangia solo veg


Di Amrita Sarkar 2 novembre 2021 pubblicato su BBC

Shree Shivay is one of a growing number of Varanasi restaurants serving local sattvic dishes (Credit- Amrita Sarkar)

Il Dali del ristorante Shree Shivay, uno dei più popolari, che serve piatti locali sattvici (Credit- Amrita Sarkar)

A lungo conosciuta come una delle città più sacre del mondo, la capitale spirituale dell’India sta ora attirando pellegrini culinari trasformandosi in un paradiso vegetariano.
Abitata almeno dal 1800 a.C., Varanasi è nota per essere una delle più antiche città del Pianeta e una delle più sacre per gli 1,2 miliardi di indù del mondo. Ogni giorno, quando il suono delle campane del tempio risuona nell’aria, decine di migliaia di devoti scendono gli 88 gradini di pietra dei ghat, le scalinate, della città e si immergono nel fiume Gange per lavarsi dei loro peccati. I parenti in lutto affollano i due campi di cremazione di Varanasi, dove le pire funerarie bruciano tutto il giorno, credendo che Shiva stesso sussurri il mantra Tarak (canto di liberazione) nelle orecchie di tutti coloro che vengono cremati qui, garantendo loro la moksha o salvezza istantanea.
Però, le mie ragioni per viaggiare a Varanasi sono molto diverse. Non sono venuto per affrontare la morte o per purificare la mia anima, ma per assaggiare il cibo vegetariano unico della città.
Guidando per le strade affollate della città, Rakesh Giri, autista e conversatore eccellente, mi ha raccontato come Shiva, il distruttore dell’universo, sia stato, secondo l’induismo, nei tempi passati il fondatore di Varanasi. Come la maggior parte degli abitanti di Varanasi, Giri è un fervente shaivita (adoratore di Shiva). E poiché i seguaci di Shiva credono che si tratti di un Dio vegetariano, lui e la maggior parte degli altri residenti di Varanasi seguono una rigorosa dieta sattvica (“vegetariana pura”).
“Io e la mia famiglia siamo vegetariani puri da generazioni. Ci rifiutiamo persino di bere acqua in una casa dove si consumano uova”, dice Giri mentre mi accompagna. Varanasi è forse la capitale spirituale dell’India, ma non è esattamente una meta dei pellegrini gastronomici. La maggior parte dei “viaggiatori del cibo” predilige i famosi centri epicurei di Delhi, Kolkata o Chennai prima di raggiungere Varanasi. Eppure oggi, gli chef di tutto il mondo stanno iniziando a trarre ispirazione dal suo patrimonio culinario, ricreando i suoi sapori nei loro ristoranti.

Vikas Khanna nella copertiuna del suo libro di ricette

Vikas Khanna nella copertina del suo libro di ricette

Lo chef Vikas Khanna, che ha ricevuto una stella Michelin ogni anno dal 2011 al 2016 quando gestiva il Junoon a Manhattan, ha detto di essere rimasto colpito dalle frittelle di farina di grano saraceno vrat ke kuttu servite in un unico tempio di Varanasi. “Ho fatto del mio meglio per ricrearlo nella mia cucina a Manhattan. Ha un sapore paradisiaco”, ha detto Khanna a Lonely Planet nel 2020. 

Lo chef due volte stella Michelin Atul Kochhar ha chiamato il suo moderno ristorante indiano a Londra Benares (il nome di Varanasi durante il dominio britannico). Nel suo omonimo libro di cucina, lo chef mette in mostra ricette fusion vegetariane, come le frittelle di ceci e l’insalata di pomodori, che evidenziano le combinazioni di sapori agrodolci che si trovano comunemente in città. Anche il famoso chef indiano Sanjeev Kapoor ha scritto della sua passione per il cibo di Varanasi, evidenziando le sue eccellenti offerte vegetariane.
Naturalmente, in un paese che è per l’80% indù e per il 20% vegetariano, le opzioni senza carne sono onnipresenti in India. Ma ciò che rende la cucina vegetariana di Varanasi così interessante è come le sue specialità sattviche e vegetariane siano direttamente influenzate dal suo forte senso di spiritualità. Un menu sattvico si basa sui principi ayurvedici e aderisce alle norme più severe del vegetarianismo prescritto dal Sanatana Dharma, una forma assoluta di induismo. Come tale, proibisce l’uso di cipolla e aglio in cucina, che si crede aumentino la rabbia, l’aggressività e l’ansia, tra le altre cose. “Quasi ogni famiglia indù a Varanasi ha un altare dedicato a Shiva in casa. Mangiare carne in casa è impensabile”, ha spiegato Abhishek Shukla, uno shastri (sacerdote) del famoso tempio Kashi Vishwanath di Varanasi. “Rimanere sattvici è una priorità per coloro che desiderano raggiungere la salvezza, perché crediamo che altrimenti le nostre anime soffrirebbero come quelle che abbiamo ucciso per il cibo”. Carne, cipolle e aglio esacerbano le tendenze tamasiche (l’opposto di quelle sattviche), rendendo difficile per le persone concentrarsi ed esercitare un buon giudizio.”
Tradizionalmente, molti ristoranti di Varanasi servivano carne per accontentare i turisti occidentali e i pellegrini indù non vegetariani, e la cucina sattvica locale era principalmente consumata a casa. Ma nel 2019, il governo indù-nazionalista BJP ha vietato la vendita e il consumo di carne nel raggio di 250 metri da tutti i templi e i siti del patrimonio di Varanasi. Questo ha incoraggiato i ristoranti a iniziare a presentare ricette locali vegetariane e sattviche che sono state tramandate per generazioni all’interno delle case di Varanasi, ma prima non erano disponibili per i visitatori.

Manoj Verma

Lo chef Manoj Verma

All’interno dell’hotel di lusso BrijRama Palace, un’imponente struttura in pietra arenaria sul Gange a Munshi Ghat, l’executive chef Manoj Verma applica la sua conoscenza enciclopedica della cucina vegetariana tradizionale da manuale di Varanasi. “Quando ho preso in mano la cucina, ho subito inserito piatti come il khatta meetha kaddu (zucca in agrodolce) e nimona (purè di piselli speziato) nel nostro menu”, ha detto Verma. “Questi sono piatti umili che i nostri ospiti non avrebbero mai avuto l’opportunità di assaggiare altrimenti”, ha aggiunto.
Verma ha mostrato come prepara la nimona, riducendo una purea di piselli verdi in una padella, aggiungendo patate bollite e versando sopra una miscela di spezie fragranti come semi di cumino interi, assafetida e peperoncini verdi temperati in olio caldo. Servito con un cucchiaio di ghee su riso basmati al vapore, la dolcezza cremosa dei piselli e il morso contrastante delle patate è essenzialmente la risposta di Varanasi alla cucina povera italiana, in cui i cibi locali “contadini” vengono valorizzati da chef innovativi.

Verma spiega come il divieto di carne del 2019 abbia favorito la creatività di una nuova generazione di chef a Varanasi. Dopo aver cucinato per ospiti indiani e internazionali famosi ha avuto l’onore di veder assaggiare il suo cibo dallo chef Khanna. In quello che è considerato l’ultimo segno di rispetto nella cultura indiana, lo chef stellato si è chinato e ha toccato i piedi di Verma. “Era in mezzo agli altri commensali del mio ristorante. Non lo dimenticherò mai”, ha detto Verma. 
Dall’altra parte della città, Shree Shivay è uno dei sempre più numerosi ristoranti che servono ricette sattviche locali. Oggi, la gente del posto stima che ci siano da 40 a 200 ristoranti sattvici a Varanasi, una crescita enorme dal divieto di carne adottato nel 2019. Il menu del ristorante, che cambia due volte al giorno in base a ciò che è disponibile al mercato locale quella mattina, presenta thalis, o offerte fisse, con almeno 12 piatti diversi. Dopo mesi di attenta sperimentazione, i tre chef del ristorante hanno trovato una formula per imitare il gusto di qualsiasi salsa o sugo usando cinque ingredienti chiave: anacardi, semi di papavero, semi di melone, pomodori e chironji (un seme di noci endemico del nord dell’India).
Il mio thali comprende pietanze come il kadhi pakora (gnocchi di farina di ceci fritti in salsa di yogurt), rajma (fagioli rossi in salsa di pomodoro) e paneer (ricotta indiana). Il sapore della farina di ceci arrostita nel kadhi, la viscosità della salsa di rajma e la freschezza del paneer erano diversi da qualsiasi cosa avessi sperimentato nel nord dell’India. 
Al di là dei suoi ristoranti, la scena del cibo di strada di Varanasi è vibrante ed elettrica come quella di Bangkok o Istanbul, ma non gode del clamore dei media. Anche se molti dei cibi sattvici venduti sono variazioni uniche o inventive di spuntini che si trovano altrove in India, non beneficiano del clamore del chaat di Delhi (snack salato che combina diverse consistenze e sapori) o del vada pav (hamburger di patate) di Mumbai. Un esempio è il tomato chaat, venduto alla bancarella Kashi Chaat Bhandar. “Quando la figlia dell’industriale miliardario Lakshmi Mittal si è sposata in Francia, ci hanno scelto come uno dei ristoratori”, ha detto il proprietario di terza generazione Yash Khetri. Realizzato con una base piccante di pomodori schiacciati immersi in uno sciroppo di zucchero con cumino e condito con croccanti sev (spaghetti di farina di ceci fritti), la ricetta originale è stata sviluppata nel 1968 dal nonno di Khetri. Oggi, non lo troverete da nessun’altra parte al di fuori di Varanasi. 
Un altro esempio è lo spumoso tè al latte zuccherato servito alla bancarella Lakshmi Chai Wale in tazze di terracotta con un lato di toast malai. Questo delizioso accompagnamento consiste in due fette di pane grigliate sui carboni ardenti, poi spalmate di panna fresca e cosparse di zucchero semolato.
Dall’altra parte della città, l’attrazione principale del ristorante Baati Chokha di Varanasi è il baati, un pane di grano duro, non lievitato e un cibo tipico del circostante stato dell’Uttar Pradesh che viene cotto su torte di sterco di mucca essiccato. Infatti, quando i commensali entrano, sono accolti dalla vista di torte di sterco di mucca essiccato impilate fino al soffitto in un capannone all’aperto. Il ristorante fa tutto in casa, dalla pestatura delle spezie in mulini di pietra alla macinazione della farina per i baati. Anche le verdure per il chokha di accompagnamento, fatto con melanzane, patate e pomodori, sono arrostite sopra le stesse torte di sterco, prima di cuocere a fuoco lento in una miscela di spezie in vasi di argilla.
La guida locale, Manjeet Sahani, che porta spesso i visitatori al ristorante, ha detto: “Inizialmente, ho pensato che la vista delle torte di sterco di mucca potesse scoraggiare le persone. Onestamente, la maggior parte delle persone che porto qui mi dicono che questo è il miglior cibo che abbiano mai mangiato in India”.
La maggior parte degli indiani sa che Varanasi è la capitale del paan (foglia di betel), e non avevo intenzione di lasciare Varanasi senza averne provato uno. Il paan si gusta di solito alla fine di un pasto perché aiuta la digestione e funziona come rinfrescante per l’alito. Alla bancarella di Netaji Paan Bhandar, il nipote del fondatore originale e attuale proprietario, Pavan Chaurasiya, ha stratificato marmellata di petali di rosa, noci di areca e calce spenta sulla foglia di betel fresca prima di piegarla con precisione da origami e presentarmela su un vassoio d’argento.
Sul bancone c’era un ritaglio di giornale laminato che mostrava quando l’ex primo ministro indiano, Indira Gandhi, visitò il loro negozio nel 1976. Non avrei potuto chiedere una fine più adatta al mio pellegrinaggio vegetariano a Varanasi che la dolcezza persistente di questo paan a lungo amato. 
Milioni di visitatori vengono a Varanasi ogni anno durante i periodi non-pandemici, e il governo indiano ha recentemente annunciato che inizierà a rilasciare visti ai viaggiatori internazionali a partire da questo novembre. Mentre la maggior parte dei visitatori cerca la salvezza spirituale, questo pellegrino culinario è uscito illuminato da questo paradiso vegetariano.