The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Octopus Farming is Unsustainable and Cruel/ L’allevamento di polpi è insostenibile e crudele

 

By Miriam Porter

  1. Octopus farming will further deplete fish species L’allevamento di polpi esaurirà ulteriormente le specie ittiche
  2. Possible damaging effects on local aquatic animals Possibili effetti dannosi sugli animali acquatici locali
  3. Octopus farming adds to the destruction of marine ecosystems L’allevamento di polpi contribuisce alla distruzione degli ecosistemi marini
  4. Octopus farming may cause more pollution L’allevamento di polpi può causare più inquinamento
  5. Octopus farming is cruel L’allevamento di polpi è crudele

Source/Sorgente: Octopus Farming is Unsustainable and Cruel – Plant Based Treaty

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C’era una volta il Salone del Gusto

La marcia Slow Food Youth Network x Fridays for Future per le strade di Torino

Appena varcato il “posto di blocco” del Parco Dora a Torino l’impressione è quella di aver sbagliato indirizzo. Invece di essere investiti da messaggi sull’emergenza climatica le narici sono invase da effluvi di carne arrostita. I food truck, uno dopo l’altro propongono birre e panini come in qualunque altra fiera o mercato del cibo in Italia. Da Slow Food si mangia Fast Food. Per ritrovare qualcosa dei gloriosi tempi passati bisogna spingersi più in là verso i mitici presidi, tutti sistemati in corridoi angusti dove masse di gente si lanciano a degustare prodotti, dei quali nulla sa e nulla vuol sapere. Per i produttori, che vorrebbero anche vendere, non è facile distinguere tra chi è davvero interessato a conoscere la loro storia a presidio del territorio e chi no. E così si ritrovano a produrre assaggini a getto continuo. Ma ha davvero senso mescolare nella bocca briciole di formaggio, cucchiaiate di zuppa, croste di pane con marmellata, bicchierini di vino o succo senza ascoltare alcuna spiegazione? Il mito del cibo goloso, toccato e gratis si sostituisce in fretta al buono, pulito e giusto di antica memoria.

Assaggiare per conoscere?

Alla frustrazione dei volontari che presentano i presidi forse non corrisponde quella del mercato vero e proprio dove non è facile distinguere la qualità, ma la gente compra. Nemmeno il biologico è una discriminante. Inutile chiedere: le risposte sono sempre quelle: «Non ci metto niente», «La certificazione costa troppo», «Il bio non è credibile». Uscendo dal territorio italiano si fanno scoperte interessanti come il caffè filippino o i vegetali energizzanti in polvere del Sudamerica (Maca, camucamu, açaí), ma la rappresentanza dei cinque continenti è piuttosto ridotta rispetto alle precedenti edizioni. L’Ucraina ha giustamente un suo spazio, ma non è chiaro invece cosa c’entri l’Arabia Saudita presente in forma ufficiale. Si tratta di un paese che al Salone del Gusto non dovrebbe avere cittadinanza.

LA MALA ORGANIZZAZIONE

I laboratori, che propongono temi interessanti, sono disorganizzati. In alcuni all’aperto nessuno controlla le prenotazioni, i posti sono quasi tutti in piedi, in altri al chiuso l’organizzazione è migliore, ma poi seguirli è un esercizio di pazienza considerando che sono posizionati in luoghi invasi dal rumore esterno. Le cuffie non bastano. In altre edizioni i laboratori erano stati posizionati in luoghi separati dal mercato ed erano organizzati molto bene.

La folla dei visitatori in attesa per 90 minuti per l’apertura il primo giorno

Qui al Parco Dora l’organizzazione è stata un punto dolente. Negli ampi spazi del sito l’evento è stato distribuito male. Di luoghi dove sedersi quasi nessuna traccia e i servizi igienici chimici sono stati lasciati senza manutenzione e senza igiene. La vetta della disorganizzazione è stata raggiunta fin dall’inizio il primo giorno quando l’apertura è stata ritardata di oltre 90 minuti lasciando i visitatori in piedi ad aspettare. Aggiungiamo che in giro c’è ancora moltissima plastica e nessun posto dove riempire le borracce. I volontari vicino ai bidoni dei rifiuti fanno quello che possono con abnegazione per tappare le falle.

PROPOSTE VEGANE QUASI INTROVABILI E NON MESSE IN RISALTO

Impossibile poi non notare che tra tutte le offerte di cibo, da mangiare sempre in piedi o su trespoli, non ce ne sia stata alcuna esclusivamente a base vegetale come ci si aspetterebbe da un evento ambientalista come il Salone del Gusto pretende di essere. Ancora hamburger e sempre hamburger di carne, verdura e frutta pochissima. Nessuno che ad esempio proponesse una zuppa, un’insalata  o un estratto. Al Salone del Gusto 2022 si è mangiato male, malsano e incoerente.

LA SECONDA ANIMA IN SECONDO PIANO

Ma sarebbe ingeneroso non parlare della seconda anima di Terra Madre Salone del Gusto, cioè quella dei progetti e delle proposte. Si è parlato di mense scolastiche, giovani ed agricoltura, finanza rigenerativa, prati e pascoli da salvare, rigenerazione, cooperative sociali. Ma quanti dei 350mila avventori se ne sono accorti? Non bastano scritte promettenti qua e là, una mostra all’aperto delle diverse tipologie di fieno posizionata quasi nascosta tra gli stand. La parola d’ordine di quest’anno è stata Food regenerAction. Sono stati enunciati a questo proposito principi lodevoli quali: non sprecare, meno carne più legumi, scelta di varietà ortofrutticole meno diffuse, pani con grani antichi, alimenti locali. Difficile trovarne però riscontro in loco. I legumi erano solo in mostra, ma non proposti come piatto da consumare. Lo spreco si misurava a vista d’occhio con cibi che in fretta prendevano la strada della pattumiera, pani con grani antichi non pervenuti. Ci vuole una comunicazione migliore, più ordinata, più indirizzata e più coerente. La tredicesima edizione di Terra Madre Salone del Gusto non dovrà più imitare altre fiere di cibo puramente commerciali altrimenti perderà inevitabilmente la sua anima.


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Deserto e Artide: quante domande. Al Festival di Locarno due film sull’esistenza umana e del pianeta

Alla ricerca di messaggi criptati dal cielo

Il cielo nel nostro immaginario rappresenta l’infinito, l’assoluto, lo spazio incommensurabile che ospita i nostri cari che ci hanno lasciato. Difficile fare domande al cielo e avere delle risposte, ma questo sembra invece possibile nel deserto africano. È il tema del film marocchino Fragments from Heaven di Adnane Baraka presentato al Locarno Film Festival in concorso nella sezione Cineasti del Presente. Un nomade, Mohamed, e Abderrahmane, uno scienziato, battono palmo a palmo il deserto con altri aiutanti per trovare frammenti di meteoriti. Ognuno con un suo sogno. Il primo ha quello di guadagnarsi il denaro per una vita migliore, il secondo, invece, indaga sulle origini dell’universo. Cerca tracce di una stella più vecchia di quella che ha portato la vita sulla Terra. In questo angolo di deserto marocchino si sono verificate di recente diverse piogge di meteoriti, «frammenti di paradiso», che contengono informazioni sull’origine della Terra e della vita. Distinguere i frammenti di meteoriti da altri semplici sassi non è semplice e capita spesso a Mohammed e i suoi amici di essere tratti in inganno e poi delusi. La loro vita da nomadi è dura. Per casa hanno una tenda, per il cibo si affidano alle loro pecore e procurarsi l’acqua è molto impegnativo. Una questione di sopravvivenza, che riguarda il nomade, ma anche lo scienziato. C’è l’ostilità del deserto, ma anche quella del cosmo dove la Terra può essere in pericolo. Il deserto nella sua purezza e uniformità è il luogo ideale per farci prendere le distanze dalle sovrastrutture umane nelle quali siamo immersi ogni giorno. Alla fine non veniamo tutti dal cielo? Si domanda il regista.

Agli antipodi del deserto c’è il paesaggio polare delle isole Svalbard (costa fredda), dove è ambientato il film Návštěvníci (The Visitors) della regista ceca Veronika Lišková, presentato a Locarno nella sezione La settimana della critica. Un studiosa ceca, Zdenka, si reca con l’intera famiglia in questo remoto territorio della Norvegia per realizzare una ricerca antropologica sugli abitanti di questo territorio, dove la popolazione autoctona (3000 abitanti) convive con studiosi e ricercatori da ogni parte del mondo.

Di fronte ai bambini delle Svalbard uno spazio che si apre verso l’infinito

La natura è ostica, ma pura, preservata da neve e ghiaccio. Le conseguenze dell’emergenza climatica arrivano comunque anche qua dove il permafrost si scioglie e dove il paesaggio con le sue infrastrutture umane è in continua mutazione. A sciogliersi non sono, però, solo i ghiacci bensì anche i diritti degli stranieri qui residenti anche da molti anni. La Norvegia non riconosce a chi va a risiedere nelle Svalbard lo stesso status di chi invece si stabilisce nel suo territorio continentale, dove i benefici derivano dall’obbligo di visto, che invece nelle isole artiche non è richiesto. Di fatto i non norvegesi che vengono a stabilirsi nelle Svalbard lo fanno a loro rischio e pericolo senza assistenza medica e sociale. Zdenka deve misurarsi contemporaneamente con due drammi: quello ecologico e quello umano. Ma le Svalbard non perdono il loro fascino: quel deserto di ghiaccio e neve offre anche allo spettatore come nel deserto in Marocco un’altra prospettiva rispetto a vite più confortevoli e protette.