The Vegetarian Chance

So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Farm to Fork per triplicare il Bio europeo entro il 2030

Foto di yassineexo da Pixabay

I numeri non restituiscono mai la passione di chi ci lavora. La stessa definizione Bio può prestarsi a interpretazioni, confusioni e qualche limitata furbizia. C’è Bio industriale, Bio di territori storici, Bio innovativo di produzioni di nicchia.

Biofach di Norimberga (12-15 febbraio 2020 ben presenti gli italiani), la più grande fiera di settore, è l’osservatorio continentale per cogliere il cambiamento dei gusti e delle convenienze dei produttori. Per capire come l’uno trascini le altre e dove potrà arrivare il “movimento” di produzione e consumi biologici in questo decennio. Cosa ci dicono quindi gli ultimi dati? L’agricoltura Bio europea ha superato i 40 miliardi di valore  (+8%) e sta avvicinando i 43 miliardi della capolista Nord America. I dati aggiornati di Fibl ( l’Istituto di ricerca svizzero per l’agricoltura biologica)  mettono ordine sul posizionamento italiano che, pur nella sua frammentazione, non è scoraggiante. L’Italia è il Paese Ue con più produttori, nel 2018 la Francia ci ha superato per superfici coltivate con metodo biologico. La Spagna resta leader Ue per superfici a Bio con 2,2 milioni di ettari, la Francia segue con 2 milioni, quindi c’è l’Italia con 1,9 milioni. Tutte le regioni fanno la loro parte come è emerso nelle manifestazioni fieristiche italiane positive anche sui primi consuntivi 2019. La Lombardia, pur cementificata e urbanizzata, mantiene una forte impronta di produzioni agricole, e in dieci anni oltre 50mila ettari di terra in più sono stati protetti e coltivati senza ricorrere a farmaci e sostanze chimiche sintetiche per eliminare i pesticidi. Cereali (con riso e mais in testa), foraggi destinati all’alimentazione degli animali, vite e ortaggi sono le colture più biologiche, in una regione che vale il 14% del totale nazionale. Oltre 3mila aziende lombarde hanno il marchio di biologico. 

Ci si attende ora molto dal Green Deal che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha cominciato ad accennare e che dovrà essere riempito di contenuti e di investimenti. Il progetto Farm to Fork è parte del Green Deal; con la filosofia dal “campo alla tavola” ha bisogno una Pac che sia veramente la politica agricola comunitaria del decennio. Sarà presentato a marzo e ha bisogno di puntare molto in alto, a quel 20% di terreni agricoli coltivati Bio nel 2030 rispetto al 7,5% attuali. I clienti ci sono, l’attenzione della collettività sembra non mancare. I maggiori mercati  per ora sono in Germania, Francia e Italia. Sono però  svizzeri e danesi a spendere di più in prodotti bio, con 312 euro procapite l’anno. Nell’Unione europea il settore continua a crescere, con un mercato già robusto, i consumatori  spendono in media 76 euro procapite l’anno in alimenti biologici.

Paolo Zucca

 

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La “carne” vegetale mangerà quote di mercato di quella animale

L’olandese Jaap Korteweg, The Vegetarian Butcher. Agricoltore e allevatore da nove generazioni è passato alla “carne” vegetale e adesso rifornisce in Europa una nota catena di fast food.

Quanto rapidamente potrà crescere il consumo di carne a base vegetale sulla doppia spinta dell’attenzione etica ai consumi e dell’interesse, tutto economico, dell’industria nel proporre le alternative? Le previsioni sono da aggiornare spesso, tanto più quando buttano lo sguardo su traguardi lontani. Non è facile leggere la forza di un’onda da quello che si vede sul filo dell’acqua.

Utilizzando i gelidi occhiali finanziari degli analisti e accettando la sfida di predire il futuro, una grande casa d’affari come JpMorgan Chase – ad esempio – stima che il mercato delle non-carni potrebbe raggiungere i 100 miliardi di dollari fra 15 anni. Più ottimista è Barclays – pure sulle stime dei suoi analisti in “Carving Up the Alternative Meat Market” –  che stima un traguardo possibile a 140 miliardi di dollari già nel 2029 (pari al 10% di quello che sarà il mercato) con una rapida crescita rispetto agli attuali valori di 1,4 miliardi pari all’1% dell’industria globale della carne. Far correre a un tal ritmo il valore delle vendite in dieci anni non è facile anche quando si parte da una piccola quota di mercato. Anche la società di ricerca PreScouter stima nel suo rapporto Meat Alternative 2019 una progressione notevole dell’attenzione generale, vegana e vegetariana in particolare, per prodotti sostitutivi di carne a base vegetale con un sempre maggior utilizzo collegato di altri alimenti come soia, tofu, funghi, lenticchie e frutti. Per l’Italia che ha consumi di carne bovine per circa 6 miliardi di euro, sotto la media Ue per consumo pro-capite, il valore dei prodotti alternativi è per ora poco significativo.

I consumi di carne nel mondo nel 2014. Via: https://www.statista.com/

La grande variabile, negli Stati Uniti e in Europa, è la capacità di trasformare la maggiore attenzione alla salvaguardia del pianeta (l’agricoltura per allevamenti viene ritenuta responsabile di rilevanti emissioni globali di gas serra) in un minor consumo di carne, favorendo un passaggio di gusto non traumatico per chi ha tradizionalmente mangiato alimenti animali. Vanno in questo senso le tante iniziative di flessibilità alimentare offerte nelle stesse catene di prodotti della beef industry che hanno aggiunto opzioni di burger a base vegetale. Il mix non piace a tutti, viene sollevata l’incongruenza dello stesso luogo e piastra di cottura; non è sicuro che la doppia opzione favorirà la transizione ai consumi alternativi. La convivenza negli stessi fast food viene ritenuta un ibrido come il lancio di burger vegetali: Burger King ha recentemente proposto il vegetariano Impossible Whopper con un buon successo nei test effettuati nei punti vendita e JBS, grande produttore di carne bovina, ha commercializzato un hamburger di soia in Brasile.

Segnali – secondo gli analisti – che la produzione di carne per alimenti ha preso atto del cambio di comportamento dei consumatori e tenta di trattenerli puntando sulla doppia opzione nello stesso store. Dall’altra parte i sostenitori della carne alternativa inseguono una somiglianza di forma e di gusto per agganciare prima possibile i consumatori di carne pieni di dubbi. L’evoluzione è chiara, l’accelerazione non è scontata.

Paolo Zucca

Bruce Friedrich è il fautore della strategia di una trasformazione dell’industria della carne piuttosto che di una battaglia frontale contro di essa. Il motivo? La promozione su vasta scala di vegetarianismo e veganismo è difficile e molto lenta. I consumatori non rinunciano facilmente al gusto della carne, ma le loro papille gustative possono essere ingannate più facilmente da una simil carne vegetale, piuttosto che da un piatto di legumi. Rimane il problema della salubrità di questi prodotti processati ad alto contenuto di grassi e altri additivi, ma almeno si apre la strada a una riduzione degli allevamenti intensivi e alle conseguenza sul clima che essi comportano. 

 

 


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In Piazza Affari più fondi ESG che titoli

Paolo Zucca

Con questo articolo inizia la sua collaborazione con questo sito Paolo Zucca, giornalista dal 1976, già responsabile del supplemento del sabato Plus24-Il Sole 24 Ore specializzato ineducazione finanziaria, risparmio e investimenti consapevoli. Osserva il fenomeno vegetariano. Crede che mai come ora, collegandosi in rete e incontrandosi nelle piazze, si possanoeliminare le pratiche nocive e incoraggiare i comportamenti responsabili. L’utopia di cambiare l’economia dal basso. Tutti i suoi articoli saranno inseriti nella nuova sezione Veconomy.

Non c’è un albero, una siepe e neppure un filo d’erba nella piccola Piazza degli Affari. Dal 2010 è spuntato solo il dito medio, in marmo lucido di Carrara, idealmente rivolto a chi frequenta palazzo Mezzanotte. Qui ha sede la “milanese” Borsa Italiana, controllata dalla Borsa di Londra a sua volta controllata da grandi investitori internazionali. Le grida e i telefoni degli operatori sono scomparsi dal 1994. Gli scambi, per fortuna, avvengono su una piattaforma telematica dove i prezzi della domanda e dell’offerta sono più trasparenti.

Neanche nei listini domestici dei titoli quotati c’è del verde. O ce n’è pochissimo rispetto al crescendo di attenzione che i piccoli risparmiatori stanno riservando alla destinazione del loro denaro, non solo cercando i rendimenti – cioè dividendi e rivalutazione del titolo acquistato – ma anche una finalità positiva. Rendimenti e finalità non sono in contrasto, come dimostrano più rilevazioni.

Scegliere ESG, nonostante qualche furbo

Se ne sono accorti coloro che si offrono di gestire il loro risparmio, insieme a quello dei lavoratori nei fondi pensione o quello delle fondazioni ex bancarie e dei grandi enti. Da anni i fondi che si proclamano Esg (Environmental, Social, Governance) raccolgono denaro da gestire da chi li vuole indirizzati su ambiente, impatto di territorio, trasparenza nella gestione. Qualche numero: in Europa, al 30 giugno 2019, circa 1,1 trilioni di euro sono stati affidati nelle mani di un grandissimo numero di società di gestione (Sgr) che sfornano fondi sempre più specializzati per cogliere le diverse sfumature gradite al risparmiatore/investitore.

Alla fine del 2018, la massa globale di denaro dotato di sensibilità arrivava a 31 trilioni di dollari. Dentro questo popolo c’è di tutto: piccoli trader idealisti, decrescita felice e fede, agricoltori, animalisti, pacifisti, attenti al cibo, all’energia pulita, ai trasporti non inquinanti e alla moda senza pelli animali. Sono le tante declinazioni possibili della stessa nuova sensibilità. I criteri Esg non sono così stringenti, c’è chi investe in società pacifiche che poi, anche in minima parte, restano fornitrici di gruppi meno pacifici.

La passione Esg, lo si vede già, spinge dal basso scelte che altrimenti non verrebbero neppure esaminate. Abbandono di investimenti in armamenti, deforestazioni, qualche rifiuto di regimi non democratici a vantaggio di produzioni apparentemente più sostenibili. Come si misura il rispetto di criteri virtuosi? Ci sono dei rating (voti di società terze, sperabilmente senza conflitti di interesse) e c’è un controllo collettivo dell’opinione pubblica e dei gruppi organizzati. In Italia, dove pure la raccolta Esg sta crescendo a 20 miliardi, scorrendo le società quotate non è facile trovare società dichiaratamente alternative. Tutte strizzano l’occhio ai fondi sensibili (e quindi indirettamente ai risparmiatori che hanno affidato loro del denaro) perché sanno che potranno preferire quel titolo azionario o quell’obbligazione, rispetto ad altre messe fuori gioco da produzioni e comportamenti non politically correct.

Il panino vegetale che fa appetito agli investitori. Legumi invece di carne, grassi vegetali invece che animali, cipolla rossa invece di bacon,

Non solo Beyond Meat, scegliere “V” sarà più facile

All’estero fanno storia i successi di Beyond Meat, la carne a base vegetale, i cui titoli sono stati offerti al pubblico a 25 dollari in fase di quotazione e richiesti in Borsa fino a decuplicare il loro valore. Ora sono scesi molto eppure restano in possesso di coloro che vedono tutte le potenzialità del passaggio di gusto dei consumatori. Oggi il mercato globale delle carni di origine vegetale è stimato in oltre 12 miliardi di dollari. Dovrebbe raggiungere i 28 miliardi di dollari nel 2025. Per questo le aziende del food stanno offrendo più opzioni al consumatore flessibile, cioè chi sta trasmigrando verso la maggiore attenzione agli animali. La grande distribuzione è la prima a testare i gusti dei clienti offrendo nei market nuovi alimenti a base digitale. Stanno più attenti i creativi dell’advertising che dovrebbero anticipare il nuovo e non appagare le abitudini. Se è vero che i gestori stanno cercando aziende quotate dove investire i soldi affidati dai clienti è possibile che sui listini europei e italiani si affaccino società dichiaratamente “V” (vegetarian, vegan) ma anche Etf (Exchange traded fund) specializzati nell’investimento su indici di Borsa o panieri di titoli selezionati con criterio. Diverse start-up stanno sperimentando evoluzioni dell’alimentazione e hanno bisogno di finanziamenti. Anche la terribile finanza, presa di mira in Piazza Affari dal Dito di Maurizio Cattelan, può diventare un credibile punto di osservazione.