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So I am living without fats, without meat, without fish, but am feeling quite well this way. It always seems to me that man was not born to be a carnivore."(Albert Einstein) August 3, 1953


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Crisi idrica: l’analisi del professor Carlo Modonesi

Storia di una crisi idrica annunciata: cosa si rischia se perdura l’immobilismo politico
22 Febbraio 2023
di Carlo Modonesi (ISDE Lombardia – Comitato Scientifico di ISDE Italia)

Image by shallyvenugopal from Pixabay

Ci sono molte buone ragioni per temere la nuova ondata di siccità che, con buona probabilità, ci aspetta nei prossimi mesi, soprattutto nei distretti nord-occidentali del territorio nazionale. È del tutto evidente che gli eventi meteorologici sono in stretta relazione con il cambiamento climatico, e che quest’ultimo andrebbe affrontato con una “vera” politica basata su “veri” accordi multilaterali volti a una riduzione drastica delle emissioni serra e alla messa in opera di contromisure per la mitigazione e l’adattamento. L’attenzione per la quantità e la qualità delle risorse idriche è obiettivo di tutti i Mab dell’Unesco, quindi, ben venga qualsiasi programma di monitoraggio, recupero e valorizzazione degli ambienti acquatici, a condizione che non si tratti delle solite dichiarazioni di principio a cui non seguono fatti concreti.

Nel frattempo, però, non possiamo aspettare che al disastro si sommi un altro disastro. La siccità dello scorso anno in Italia ha lasciato criticità ecologiche che ancora oggi non sono state ben comprese, i cui effetti però verranno certamente amplificati dalla nuova ondata di siccità che è stata preannunciata dai climatologi del CNR e del IPCC. La siccità non va monitorata e combattuta soltanto per le sue ricadute rovinose su paesaggi, agricolture ed economie, ma anche per le conseguenze drammatiche che produce quando diventa un fattore limitante e persistente in grado di inibire o depotenziare le funzioni degli ambienti naturali, a detrimento di una miriade di organismi che vi risiedono.

Sulla Terra l’acqua si trova allo stato liquido nell’intervallo di temperatura più idoneo all’utilizzo da parte degli esseri viventi. Le sue molecole contraddistinte da una lieve polarizzazione sono sempre ionizzate, rendendo l’acqua in forma liquida un eccellente solvente. Inoltre, in ragione dell’alto valore della sua costante dielettrica, l’acqua permette che i sali in essa disciolti restino in soluzione per tempi relativamente lunghi. Proprio per queste sue proprietà, l’acqua è un costituente inalienabile della biosfera, grazie anche alla sua funzione di regolazione termostatica in grado di controllare le fluttuazioni termiche mantenendole all’interno di un range di variazione favorevole agli organismi e alle comunità biologiche (biocenosi).

Una regola essenziale dell’ecologia scientifica evidenzia che nel caso in cui una comunità biologica sia già stata sottoposta a uno stress significativo (per esempio il lungo periodo di siccità del 2022), il verificarsi di una nuova perturbazione a carico della stessa comunità produrrà un effetto imprevedibilmente più grave sulla sua “resistenza fisiologica”. In pratica, fenomeni di disturbo di questo tipo aboliscono qualsiasi possibilità di stabilizzazione dell’ecosistema per molto tempo, compromettendo quella che, in condizioni di buona salute, è la sua principale proprietà: la resilienza.

È bene sottolineare che il ciclo dell’acqua è strettamente associato al ciclo dei nutrienti (in particolare nel suolo), in quanto la stragrande maggioranza degli organismi assorbono le sostanze nutritive mediante soluzioni acquose, per cui la disponibilità di acqua e dei soluti che essa trasferisce dall’idrosfera alla biosfera gioca un ruolo biologico insostituibile in tutte le dinamiche ambientali. Anche se può sembrare strano, la prima conseguenza di un apporto insufficiente di acqua negli ambienti naturali è che gli esseri viventi muoiono di fame più che di sete. Ciò spiega la ragione per cui la scarsità di acqua nei sistemi naturali e negli agro- ecosistemi può costituire uno stressogeno che nel lungo periodo diventa pericoloso e difficilmente controllabile.

Ora, è chiaro che la lotta alla siccità non può essere affrontata riponendo unicamente la fiducia sulla costruzione di grandi invasi, le cui pesanti controindicazioni ambientali sono arcinote. Ciononostante, tenendo conto delle considerazioni riportate poco sopra, un atteggiamento pragmatico oggi suggerisce che, a causa della situazione emergenziale (o pre-emergenziale) che si è venuta a creare nei distretti nord-occidentali del territorio nazionale, si faccia ricorso a tutto ciò che può garantire un utilizzo razionale dell’acqua basato anzitutto sul risparmio (ovunque sia possibile), ma in grado di sostenere gli ecosistemi e l’agricoltura, senza penalizzare eccessivamente altri usi. La questione, in buona sostanza, riguarda ciò che nelle emergenze si rischia di compromettere se non si prendono decisioni rapide anche se queste non sono perfette: in un contesto di emergenza, non si può pretendere la perfezione.

Una simile azione deve inoltre tenere conto del fatto che si sta operando in una condizione “a valle” del problema e non “a monte”, a causa dell’incapacità delle istituzioni pubbliche e delle agenzie competenti di prevenire i problemi, anziché affrontarli in una fase ex-post senza strumenti adeguati.
Tutto ciò premesso, è chiaro e intuitivo che quando si parla di sistemi agricoli e di sistemi naturali si parla implicitamente anche di suoli, perché la vitalità di tutti i sistemi ecologici di terra dipende dalla loro matrice pedologica. Il suolo viene spesso e giustamente associato alla produzione alimentare ma, in un’ottica più generale, si deve osservare che i suoli sani sono fondamentali nei processi vitali di tutti i biotopi, in quanto provvedono a molte altre funzioni cruciali, tra cui la disponibilità di nutrienti, i meccanismi biochimici di ciclizzazione della materia, il sequestro del carbonio, la purificazione dell’acqua, la detossificazione dei composti tossici, e una miriade di altre funzioni. Peraltro, suoli in buona salute sostengono molti settori dell’economia, che vanno ben oltre i singoli appezzamenti di terreno per la coltivazione o per altre attività, a prescindere dal fatto che siano suoli di proprietà o pubblici.

Image by Sergio Cerrato – Italia from Pixabay

Il suolo è un ambiente estremo che ospita quantità gigantesche di organismi microscopici, spesso caratterizzati da morfologie spettacolari, che con le loro relazioni reciproche rendono la fisiologia del suolo particolarmente complessa, variabile e di grande interesse in termini eco-evolutivi. Basti pensare al fatto che il suolo ospita tra il 25% e il 30% di tutta la biodiversità del pianeta ed è la sede da cui si dipartono le innumerevoli catene alimentari che rendono il nostro pianeta “vivo” oltre che “vivibile” per la nostra specie. Per distruggere le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un suolo bastano pochi anni, ma per ripristinarle occorrono secoli e talora millenni. Quindi, quando parliamo di fattori che mettono a repentaglio la salute del suolo, come la siccità, l’erosione, la salinizzazione o l’inquinamento, dobbiamo tenere presente il valore del patrimonio naturale che si perde quando non si fa di tutto per evitare il peggio. Questo fragile strato di qualche decina di centimetri che avvolge la Terra deve essere protetto dagli effetti delle attività umane per motivi etici ma anche per motivi molto pratici. Soprattutto per il fatto che entro il 2050 i suoli del mondo dovranno purificare l’acqua e fornire il cibo necessari per soddisfare le necessità di una popolazione mondiale di quasi 10 miliardi di persone.

Chiunque abbia seguito con interesse in questi anni le politiche europee sa che l’UE ha messo sul tavolo molte iniziative finalizzate a consolidare la salute del suolo. Tuttavia, anche quando queste misure sono state formalmente adottate, non sono state applicate in modo efficace ad affrontare il problema del rapido degrado dei suoli europei, a partire proprio dall’Italia. Secondo la Commissione europea, circa due terzi (60-70%) degli ecosistemi dell’UE presentano suoli malsani e in continuo degrado, a causa dei molti fattori di stress, tra cui il global warming, che hanno causato una temibile “decomplessificazione” delle loro proprietà e funzioni ecologiche.

I dati relativi a questi fenomeni degenerativi sono preoccupanti sotto molti punti di vista: si tratta di questioni che vanno dalla sicurezza dell’agro-alimentare alla conservazione della biodiversità, dalla protezione della salute umana al problema dei mezzi di sussistenza, dalla contaminazione da pesticidi alla desertificazione dei terreni agricoli, fino ad arrivare a scenari che oggi possiamo definire di vera e propria “minaccia” per l’ecosfera. Tutto ciò getta ombre su come si potrebbe uscire dalla crisi idrica dei prossimi mesi, ma al momento la gravità della situazione non sembra minimamente compresa dal mondo politico. In termini sintetici, si può affermare che il suolo ha bisogno dell’acqua e che l’acqua ha bisogno del suolo, ma tale semplice relazione circolare offerta gratuitamente dalla natura in forma di beni e servizi viene oscurata da altri interessi predominanti nei “palazzi”: in pratica, la bussola delle priorità della politica punta da tutt’altra parte.

Ancora più allarmante è il fatto che, se gestito in modo non sostenibile, il suolo può passare da una condizione di “serbatoio” di carbonio a una condizione di “fonte” di carbonio. La salute del suolo può essere valutata in molti modi, ma un buon proxy del suo stato è la misura del carbonio organico (SOC: Soil Organic Carbon), vale a dire un elemento centrale che esprime la capacità pedologica di fornire nutrimento e sostegno alla biomassa vegetale (produzione primaria). I suoli ricchi di carbonio organico tendono a essere meglio strutturati, trattengono più acqua, resistono meglio all’erosione e offrono una maggiore fertilità per le colture. Il paradosso è che attualmente i suoli dell’UE mostrano pattern preoccupanti di perdita di carbonio organico mentre intanto emettono CO2. Le critiche condizioni ecologiche degli ambienti umidi, non ultime le importantissime zone a torbiera, sottoposte da tempo a un continuo drenaggio, fanno il paio con i terreni agricoli devastati dall’agricoltura industriale e dagli insediamenti umani (urban sprawl), con ripercussioni di medio-lungo periodo che nessuno è in grado di prevedere.

Foto di svklimkin da Pixabay

Ciò che si sta facendo a livello nazionale (ma anche a livello europeo non si vedono iniziative migliori) è sperare che nei prossimi mesi possano cadere le piogge e le nevi che non sono cadute nel corso della stagione autunnale-invernale 2022-2023. Tuttavia, al momento non possiamo sapere se il gap potrà essere completamente recuperato: un’evenienza che per molti ha una probabilità piuttosto bassa di verificarsi. Il contesto odierno deve essere preso molto sul serio, perché il rischio è quello di esacerbare una situazione di siccità, con tutte le sue ripercussioni ambientali, sociali ed economiche, peggiore di quella della primavera-estate del 2022. Serve quindi una piattaforma strategica (una policy) mirata a ridurre le conseguenze di una crisi idrica imminente che non promette nulla di buono.

Occorre mettere a punto fin d’ora un programma di gestione e di utilizzo delle risorse idriche che tenga conto del peso dei vari usi idrici a livello sociale, naturale ed economico. Una delle soluzioni possibili, anche se certamente non l’unica, è quella di utilizzare i bacini idrici artificiali e naturali esistenti a cui attingere. Come anticipato sopra, la nuova edificazione di grandi invasi è caratterizzata da una serie di controindicazioni ambientali che è bene evitare, tuttavia, i piccoli invasi inseriti in reti locali di approvvigionamento idrico a favore delle colture, ma utili anche a non mandare in sofferenza gli ambienti naturali hanno un impatto sul territorio decisamente inferiore.

Piccoli corpi idrici creati senza uso di cemento in siti territoriali e paesaggistici idonei possono dare un contributo sostanziale in termini di “auto-sufficienza” idrica. Questo ragionamento, ovviamente, deve essere accompagnato da un razionale impiego dell’acqua in tutti i settori che ne fanno uso. Dopodiché, è chiaro che un problema come quello della siccità, peraltro affrontato in una fase già critica e avanzata, richiede una serie di contromisure su grande e piccola scala che devono essere programmate e realizzate in modo integrato, senza lasciare nulla di intentato e soprattutto senza lasciare nulla al caso. Per esempio, in agricoltura l’utilizzo di sistemi di irrigazione che minimizzano lo spreco di acqua (i.e. sistemi a goccia) abbinato al ricorso a colture a buona vocazione territoriale/locale e a basso consumo idrico (ed energetico) possono fornire un aiuto importante. Qualcosa in agricoltura si dovrà certamente sacrificare, ma lo scenario non permette di accontentare tutti né di impiegare soluzioni operative legate all’ordinario.

Concludendo, tutto ciò premesso, la risorsa principale che al momento sembra mancare non riguarda le varie opzioni di natura tecnica che possono ragionevolmente essere messe in opera per assicurare una sufficiente capacità di non arrendersi alla morsa della siccità, ma la capacità di pianificare con un minimo di anticipo (siamo già in ritardo) la gestione politica del problema per non farsi trovare impreparati nel caso in cui i pronostici peggiori dovessero avverarsi.

Nel breve periodo appare urgente un’azione politica rigorosa volta a frenare i problemi di deterioramento e di scarsità di acqua, non solo in Italia ma in tutta Europa. Suolo e acqua (e aria) sono entità ambientali infinitamente più preziose e vulnerabili di quanto si pensi. Le competenze scientifiche e tecnologiche per affrontare senza traumi eccessivi una nuova crisi idrica che forse sarà peggiore di quella dello scorso anno non mancano, ma la politica e le istituzioni governative a tutti i livelli di competenza territoriale non devono e non possono perdere altro tempo.

Carlo Modonesi ISDE ITALIA

Ulteriori informazioni sullo stato della siccità in Europa sono disponibili presso l’Osservatorio europeo della siccità (EDO), gestito dal Servizio di gestione delle emergenze Copernicus (CEMS).]

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Glifosato: ISDE risponde a Elena Cattaneo

Monsanto: il più grande produttore mondiale di Glifosato

Dopo che la UE ha prorogato di altri cinque anni l’autorizzazione all’uso del glifosato, il più famoso erbicida del mondo prodotto dall’azienda americana Monsanto, le polemiche divampano. Sul tema si è espressa la senatrice a vita e farmacologa Elena Cattaneo e ISDE Italia, Associazione Medici per l’Ambiente gli ha risposto. Di ISDE fa parte Carlo Modonesi, professore di ecologia umana, amico di The Vegetarian Chance. Il governo italiano ha votato contro il prolungamento dell’autorizzazione, ma la senatrice Cattaneo, che fa parte del principale partito di governo, il PD, è di parere opposto. D’altra in Italia è proprio lei la portabandiera degli OGM che si usano in agricoltura combinati col diserbante glifosato.

Ecco il testo di ISDE

LA SENATRICE-FARMACOLOGA NON SA CHE…….

Non è consuetudine di ISDE Italia (Medici per l’Ambiente) esprimere valutazioni in merito alle dichiarazioni pubbliche di rappresentanti della politica e delle istituzioni. Quando però le dichiarazioni inquadrano i fatti in modo distorto e al tempo stesso pretendono di fornire indirizzi che attengono alla salute pubblica e alla tutela dell’ambiente, l’attenzione di ISDE Italia viene inevitabilmente sollecitata. Il commento a firma di Elena Cattaneo (Gli equivoci sul glifosato), pubblicato il primo dicembre 2017 su Repubblica, elenca una serie di pregiudizi e di semplici opinioni sugli effetti sanitari e ambientali dell’erbicida più diffuso al mondo che non coincidono nel modo più assoluto con le conoscenze attualmente disponibili; il tutto, accompagnato da un concentrato di nozioni sull’agricoltura sostenibile (biologica e biodinamica) che lascia francamente sconcertati. L’innovazione del futuro, sostiene l’autrice, coinciderebbe con l’impiego universale di OGM, capaci di risolvere in un colpo solo la moltitudine di temibili sfide con cui l’agricoltura dovrà fare i conti, dal cambiamento climatico all’erosione della biodiversità, fino alla piaga della denutrizione e chissà cos’altro ancora. Non una parola viene spesa circa la necessità 1) di sviluppare un approccio sistemico nelle policy per l’agricoltura e 2) di implementare un uso sostenibile delle risorse naturali e delle matrici ambientali nelle pratiche agricole. Naturalmente, per quanto discutibili, le opinioni personali sarebbero del tutto legittime se non fossero visibilmente travestite da prescrizioni scientifiche: il commento, infatti, viene firmato dalla senatrice indossando il “camice bianco” (farmacologa è la qualifica che compare in calce oltre a quella istituzionale). Su questo improbabile tentativo di fornire indicazioni corredate di certificazione scientifica è il caso di esprimere più di una perplessità e almeno un chiarimento, al fine di evitare che, nello scorrere il commento, il lettore scambi lucciole per lanterne e abbia la tentazione di prendere sul serio la lunga lista di inesattezze che l’autrice fa proprie. La letteratura scientifica ha cominciato a occuparsi dei danni biologici e sanitari del glifosato alla fine degli anni Settanta, quando la molecola erbicida aveva un mercato marginale e la sua diffusione non era ancora stata ingigantita dalle colture ingegnerizzate per la resistenza ai suoi effetti tossici. Grazie alle prime indagini nord-americane e australiane condotte su organismi impiegati come bioindicatori (gruppi particolari di invertebrati e vertebrati), si cominciò a comprendere che la presunta innocuità del prodotto, propagandata a tambur battente dall’industria, necessitava di una radicale rettifica, soprattutto nei formulati commerciali (come il Roundup) contenenti il surfattante POEA. Da allora, le indagini sui rischi ecologici e sanitari indotti dall’utilizzo sempre più diffuso dell’erbicida sono aumentate esponenzialmente, tant’è che alcuni anni fa il glifosato è entrato nel mirino della commissione IARC (la massima agenzia mondiale per la ricerca sul cancro) deputata a proporre e realizzare, attraverso una lunga e articolata procedura di “candidatura e revisione”, una valutazione dei dati tossicologici ed epidemiologici sulla cancerogenicità del composto. Oggi il glifosato si trova al centro di un’accesa disputa internazionale che vede molti ricercatori e associazioni impegnati a bandirne la commercializzazione e gli usi agricoli ed extra-agricoli, non solo per la sua probabile cancerogenicità umana (linfoma non-Hodgkin) decretata da IARC nel 2015, ma anche per la sua tossicità endocrina, neurologica e riproduttiva, nonché per la sua ben nota ecotossicità.  È evidente che l’eventuale eliminazione del glifosato dal mercato globale dei pesticidi spingerebbe l’industria a sostituirlo con altri prodotti, sulla carta anche più tossici dell’originale. Ma il nodo della questione è proprio questo: il bando del glifosato dovrebbe rappresentare un primo passo verso la progressiva rimozione dei veleni di sintesi dalle pratiche agricole e zootecniche, così come da ogni altro settore in cui i parassiti possono essere controllati con metodi alternativi, non tossici e meno costosi. È difficile capire da dove tragga le informazioni sugli impatti del glifosato la senatrice-farmacologa Cattaneo, certamente non dalla letteratura scientifica indipendente, che sull’argomento specifico è disponibile in quantità. In ogni caso, è poco consigliabile riproporre continuamente, come fonte primaria di dati, il report sui rischi del glifosato prodotto dall’EFSA, in quanto, com’è noto, si tratta in buona parte di un documento copiato da materiali forniti dall’industria, che certamente non rientrano nel novero degli studi scientifici indipendenti. Per concludere, poiché nessuno dubita della buona fede con cui è stato scritto il commento, c’è da dubitare della reale conoscenza degli argomenti cruciali che in esso vengono trattati, sui quali la senatrice-farmacologa continua a dispensare opinioni personali e ricette risolutive del tutto infondate.

5 Dicembre 2017

Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia

Via XXV Aprile, 34 – 52100 Arezzo

Tel: 0575-23612 – e-mail: isde@isde.it


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Caldo e smog fotochimico: cosa non sappiamo. Lo spiega Carlo Modonesi

Il caldo eccessivo di questi giorni ci dà fastidio, anche molto. Ma chi sta in città ha l’impressione in fondo di poterci convivere: aria condizionata, ventilatori, tante docce, bevande ghiacciate, gelati, insalate, un salto in piscina. Quasi quasi ci piace……..! Soprattutto se nel fine settimana riusciamo magari a scappare al mare o in montagna. In realtà i danni che provoca questo clima inusuale per le nostre latitudini sono molto più gravi di quanto sappiamo o vogliamo sapere. Esiste prima di tutto un problema di carenza d’acqua per l’agricoltura e per noi stessi e poi c’è l’inquinamento atmosferico, del quale parliamo solo d’inverno, ma che invece è grave anche d’estate. Ce lo spiega Carlo Modonesi, Professore di Ecologia umana all’Università degli Studi di Parma, Membro del Gruppo Pesticidi dei Medici per l’Ambiente (ISDE). Modonesi è uno dei ricercatori intervistati nel libro Veg per scelta  (Eschenazi-Leemann Giunti Editore 2017) e nel 2016 è stato membro della giuria nel concorso The Vegetarian Chance. Con questo suo scritto lancia un allarme e ci invita tutti a essere più consapevoli, non solo nel mangiare, ma anche nel respirare.

Carlo Modonesi

Non ne parla nessuno, ma in queste belle giornate di sole e di caldo (talora troppo e…. afoso) sta salendo l’inquinamento cosiddetto “da smog fotochimico”.Si tratta in pratica dell’incremento di inquinanti che vengono definiti “secondari” perché sono il risultato delle reazioni chimico-fisiche dovute

1) all’interazione tra gli inquinanti primari (quelli emessi direttamente da fonti antropiche come automobili, impianti energetici, camini industriali, ecc.) e

2) all’interazione tra questi inquinanti e le caratteristiche dell’atmosfera a bassa quota. La relazione forte comunque è quella tra l’ozono e i suoi precursori, ossia gli ossidi di azoto (NOx = NO + NO2). (NB: l’ozono è la molecola triatomica dell’ossigeno (O3), che nell’alta atmosfera, detta anche STRATOSFERA, è di fondamentale importanza biologica perché filtra buona parte della radiazione solare che ha effetti mutageni e cancerogeni, mentre nella bassa atmosfera, detta anche TROPOSFERA, è nociva per molte piante e per la stragrande maggioranza degli animali, esseri umani inclusi). Non bisogna dimenticare, inoltre, che nel processo di formazione dell’ozono entrano in gioco anche le sostanze chimiche volatili (dette VOC, Volatile Organic Compounds). Poiché l’ozono si forma molto rapidamente in presenza di alte temperature (il caldo di questi giorni) e di luce (le giornate sono molto più luminose di soltanto un mese fa, per via della posizione del sole), le città che normalmente soffrono di condizioni atmosferiche e climatiche un po’ “spinte” (come Milano) tendono ad avere concentrazioni di ozono molto elevate.

Gli effetti acuti sulla popolazione generale dovuti alla presenza intensa e prolungata di ozono atmosferico sono:
– riduzione della funzione polmonare e difficoltà respiratoria
– infiammazione delle vie aeree
– tosse
– irritazioni dell’orofaringe
– affanno e astenia
– bruciore retrosternale
Inoltre, sono ormai consolidate le evidenze scientifiche che mostrano un aumento degli attacchi di asma, dei ricoveri ospedalieri, e della mortalità giornaliera, nonché un peggioramento delle condizioni di salute di soggetti già colpiti da malattie croniche Le indagini sperimentali (tossicologia) mostrano che le esposizioni di lungo termine ad alte concentrazioni di ozono esitano in alterazioni morfologiche permanenti delle mucose respiratorie (vie alte e basse), con sviluppo di fenomeni di iperplasia e di metaplasia cellulare negli epiteli.

Poco si sa degli effetti cronici sull’uomo, anche se un’associazione tra esposizione ricorrente all’ozono e deficit della funzionalità polmonare sembra ormai confermata.

Nei giorni in cui aumenta lo smog fotochimico, in altri paesi vengono applicate particolari misure di prevenzione per proteggere soprattutto i bambini e gli anziani…. ma a quanto pare la biologia della popolazione italiana è diversa, e non serve alcun tipo di intervento teso a salvaguardare la salute pubblica.