
Blatte fischiante del Madagascar, considerate edibili
Una volta quando un commensale trovava in un ristorante una mosca nel piatto chiamava il cameriere per lamentarsi. A breve questa situazione potrebbe capovolgersi e potrebbe essere il cliente a ordinare una ciotola di mosche disidratate da aggiungere alla sua pietanza. Insetti come nutrimento e persino come leccornia da chef. Se ne è già parlato anche all’Expo e il tema rimane di stretta attualità. Lo ha rilanciato in questi giorni Il Fatto Alimentare, che ha ripreso un documento dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie inerente gli aspetti nutrizionali degli insetti come alimento. Molti i dubbi e gli interrogativi sollevati dall’Istituto, che dice: “Le conoscenze attuali sui possibili rischi legati al consumo di insetti non sono ancora sufficienti a garantire pienamente il consumatore. Si è soliti giustificare a priori il loro utilizzo affermando che il consumo in altri Paesi non ha mai evidenziato particolari rischi. Il problema è capire come sono stati svolti questi studi. Sicuramente la ricerca dei comuni patogeni alimentari è utile per escluderne la presenza e salvaguardare il consumatore, ma studi approfonditi dovrebbero escludere la possibilità che altri microrganismi trovati sugli alimenti possano causare problemi“. Il documento si sofferma poi sul tema degli allevamenti intensivi di insetti, che porrebbero di fatto gli stessi tipici problemi di ogni allevamento o coltivazione intensiva. “Nel caso degli insetti i grandi numeri sono necessari per raggiungere volumi di produzione “interessanti” per il settore alimentare. Il problema quindi non è l’allevamento intensivo in sé, quanto come vengono/verrebbero gestite eventuali lacune nel sistema di biosicurezza. Ci sono alcuni agenti patogeni che sono in grado di decimare – se non annientare – le popolazioni di insetti dell’allevamento con importanti perdite economiche“. Queste problematiche verrebbero gestite come avviene in acquacultura o con il pollame usando gli antibiotici, che poi finirebbero nel nostro organismo. Da non trascurare infine l’impatto ambientale di questi allevamenti. Possiamo immaginare la catastrofe ecologica che potrebbe derivare da una fuga di cavallette nei campi? Più facile sarebbe gestire le deiezioni prodotte in quantità non paragonabili a quelle bovine e usabili come compost. In ogni caso gli allevamenti d’insetti non sono immaginati “biologici”. E dunque quale vantaggio avremmo nel mangiare grilli, cavallette e tarme della farina e magari coleotteri e mosche? Lo sforzo per abituarci a mangiare quello che fino a ieri consideravamo repellente sarebbe inutile. Cercare negli insetti le proteine che già il mondo vegetale ci offre in abbondanza non ha senso. Lasciamo la mosca fuori dal piatto!